Più che smart working, quello che si è rapidamente diffuso negli ultimi mesi può essere definito Covid-working, cioè una risposta all’emergenza causata dalla pandemia, che ha preso le forme del telelavoro, più che del lavoro intelligente. Di fatto, un gran numero di lavoratori svolge le proprie mansioni da casa anziché in ufficio, senza che il lavoro sia stato riorganizzato.

In un dialogo con online sulla War Room di Enrico Cisnetto, l’ex segretario generale della Fim-Cisl e autore del libro “Indipendenti. Guida allo smart working” Marco Bentivogli osserva che “remotizzare il lavoro, spostandolo da un luogo fisso tradizionale, comporta dei vantaggi, a patto che queste cose siano progettate. Lo smart working non deve riguardare solo i lavoratori che vengono remotizzati ma tutta l’impresa: deve essere modificata la gerarchia aziendale, il modello di business e soprattutto il modello organizzativo con cui funziona l’azienda”.

Secondo Bentivogli, “bisogna scongelare le due variabili spazio e tempo del lavoro e smetterla di vergognarsi di impugnare la bandiera della libertà dell’orario. Le nuove tecniche digitali consentono questo scongelamento, rendendo meno rilevante la rigidità del luogo di lavoro e contemporaneamente dell’orario di lavoro, cioè del tempo come lo si è considerato in epoca fordista: otto ore al giorno, quaranta settimanali, mille e settecento sessanta annue.

Lo smart working consente una strategia a doppio vincitore: far vincere sia l’impresa, sia il lavoratore. Il lavoratore ha una migliore conciliazione vita-lavoro, una maggiore libertà e autonomia nel lavoro, in cambio di una maggiore responsabilità, perché è un lavoro su obiettivi e non più su orari e presenze. Questo consente di rivedere e ripensare completamente il lavoro”.

Occorre, però, ripensare prima lo spazio aziendale e poi il tempo di lavoro, e non il contrario.

Più le aziende sono basate sul controllo e più il controllo soffoca la produttività, sottolinea Bentivogli. Il solo controllo della presenza fisica non è efficace neanche per il controllo della produttività, perché ormai siamo in presenza di lavori sempre meno ripetitivi e che hanno sempre più ingaggio cognitivo. “Bisogna imparare a lavorare su progetti e obiettivi, e questo è il tema che non si è capito durante il Covid.

Il lavoro smart non è il lavoro a casa. Nel ripensare organizzazione delle aziende, dei tempi e dei luoghi del lavoro, occorre tenere presente le strutture inutilizzate presenti nelle periferie, come i centri commerciali dismessi, che potrebbero diventare degli Smart Work Hub, dove ci siano postazioni, punti di ristoro, piccole sale riunioni e per meeting, rianimando la periferia, lasciando il lavoro in periferia per chi abita in periferia, all’interno di città policentriche”, afferma Bentivogli.

Insomma, lo smart working non è equivalente all’home working. Continuiamo a confondere lo smart working con il telelavoro, quando invece è completamente diverso.

Redazione

La redazione de L'Incontro

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