La prima volta che ho percorso la strada delle cinquantadue gallerie scavate nel Pasubio era un caldo pomeriggio di giugno dopo una impegnativa udienza in mattinata a Venezia. C’era afa, visuale offuscata e mi ero stancato moltissimo. Unica nota positiva di quel tragitto i camosci che ho trovato sul sentiero. L’impotenza, la genialità, l’arditezza dell’opera, confesso, mi erano in buona parte sfuggite. Ero arrivato al Rifugio Generale Papa davvero spompato ma giusto in tempo per apprezzare la cucina gustosa e le porzioni abbondanti per la cena dai ragazzi della gestione, gentili e sorridenti. Quella notte il Rifugio era pressoché deserto, era un giorno infrasettimanale. Non ho sentito le voci di cui scrive Paolo Rumiz. Troppo sonno forse. Troppa stanchezza forse. O forse, semplicemente, non avevo ancora letto Rumiz. Il mattino successivo sono salito al Dente Italiano e, a poca distanza, ecco il Dente Austriaco. Imponenti gallerie scavate nella montagna, bacheche illustrative. E poi i segni dell’esplosione della gigantesca mina che ha fatto crollare parte della montagna tenuta dagli Italiani e che per la sua potenza aveva trasformato anche le gallerie del Dente Austriaco in micidiali camere a gas. Eccomi alla Selletta Damaggio e quella storia del mitragliere siciliano che resiste all’attacco nemico respingendolo quanto basta per organizzare i rinforzi appoggiando la mitragliatrice rovente e danneggiata sulle spalle di uno dei serventi. C’era neve quella volta, vedevo i camosci nel pianoro nel quale era impossibile addentrarsi senza ciaspole, che non avevo.

La seconda volta invece era settembre, giornata limpida, mattino. Panorama grandioso circostante e sbigottimento per l’arditezza del percorso, quella galleria a spirale che sale in una guglia mi è rimasta fissa in testa. È stato bellissimo benché inevitabilmente piuttosto faticoso. Purtroppo dovevo rientrare il giorno dopo e quindi la salita al Dente Italiano e il percorso che ho compiuto ha sostanzialmente ricalcato quello della volta precedente. Non sono riuscito a salire e a ispezionare bene il Dente Austriaco, a guardare il panorama a nord verso il Rifugio Lancia. Ma la “caldaia del diavolo” con i suoi 10mila morti, con quanto si legge sulle bacheche lungo tutto il percorso ti entra nello stomaco. Dal Rifugio, sempre ottimo per cucina e accoglienza, laggiù verso sud si vede l’Ossario di Pian delle Fugazze. Sono rientrato ripercorrendo le gallerie (la prossima volta andrò attrezzato per percorrere almeno un tratto di ferrata in cresta, almeno fino all’Osservatorio) e la prospettiva diversa apre scenari completamente nuovi e ugualmente grandiosi. Ho tra l’altro contato più di venti camosci. Il giorno del rientro era un sabato, e via via ho incontrato folti gruppi di escursionisti ed alpini in congedo. Quasi arrivato è stato curioso osservare l’abbigliamento diverso di chi si incammina in tardi orari: blue jeans, scarpe da ginnastica, felpe legate in vita, bottiglia di acqua in mano. Non sanno dove vanno. Non andranno lontano.

Claudio Zucchellini

Le precedenti puntate di Storia e storie camminando lungo il fronte, dal Tonale al Carso:

Prima che “Tonale” sia solo un Suv

La “Guera Granda”, si moriva di fame e di crepacuore

Camminando per Trento, tra Cesare Battisti e i ricordi del ‘68

Le memorie della Grande Guerra intorno a Rovereto

Camminando lungo il fronte, dal Tonale al Carso

Claudio Zucchellini

Avvocato, Consigliere della Camera Civile di Monza, attivo in iniziative formative per Avvocati, Università, Scuole e Società Civile.

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