Dopo la prima puntata con il rapporto su giornalismo e avvocatura prosegue la rubrica La nostra storia, sulle tappe fondamentali de L’Incontro e del suo fondatore.

Quelli a cui ha accennato sono temi interessantissimi, che vedremo in breve, prima di arrivare al 1949. Ora torniamo alla sua vita nel periodo 45/46 ed ai primi esordi come giornalista. Quando e come ciò avvenne?

Subito dopo la fine della guerra, i quotidiani ripresero le pubblicazioni. La situazione, come in altri settori, era complessa: da un lato vi era la voglia di ripartire dopo anni di regime e di censura; dall’altro, i macchinari erano stati distrutti dai bombardamenti, la carta contingentata e ogni giorno, per far uscire le notizie, ci si doveva arrabattare su più fronti. Iniziai quindi a lavorare come corrispondente di tre giornali, pubblicati rispettivamente al nord, al centro e al sud, inviando ad essi il medesimo articolo. In tale modo ottenevo tre modesti compensi, che mi consentirono di sopravvivere.
Il primo quotidiano con cui  collaborai in modo stabile, venendone assunto ed occupandomi di cronaca “bianca”, fu l’Opinione, giornale di ispirazione liberale che riprendeva la testata di un grande giornale dell’epoca di Cavour.
Il giornale era diretto da Franco Antonicelli, allora presidente del Cln piemontese, mentre il suo vice era Giulio De Benedetti, professionista di chiara fama.
Lì imparai il rigore e la sintesi, che sono il vero presupposto per la pubblicazione di una notizia, oltre ad imparare leggendo ciò che scrivevano le grandi firme del giornale, composto in gran parte da giornalisti provenienti dalla Stampa e dalla Gazzetta del Popolo: Ruggero Orlando, Camilla Cederna, Vitaliano Brancati, Arturo Carlo Jemolo, Vittorio Gorresio ed altri.

Quali erano gli altri giornali che venivano pubblicati a Torino?

Le due testate torinesi più famose, nate entrambe nell’800, erano La Stampa e la Gazzetta del Popolo, che però furono soppresse dal Cln per i loro trascorsi di quotidiani fiancheggiatori del fascismo, prima, e della Repubblica Sociale, poi. In realtà più che una rivoluzione fu un’operazione di facciata, posto che esse ripresero le pubblicazioni con i titoli delle testate mutati, rispettivamente, in “La Nuova Stampa” e nella “Gazzetta d’Italia”: con il semplice mutamento della testata si pensava di aver risolto i problemi con il passato!

Vi erano poi altri giornali che furono espressione dei partiti: il “Popolo Nuovo” era l’organo della Democrazia Cristiana, “Giustizia e Libertà” era quello del Partito d’Azione, l’”Avanti!” del Partito Socialista (che poi divenne, quale edizione locale, “Sempre Avanti!”), “l’Unità” del Partito Comunista e il “Mondo Nuovo” del Partito Socialdemocratico, del quale fui redattore fino alla chiusura.

Vi era poi, anche se durò pochissimo, il “Corriere Alleato”, l’organo ufficiale degli alleati anglo-americani, poi divenuto per pochi mesi il “Piemonte Libero”.

Ha anche collaborato ad una testata che, in Val d’Aosta, contribuì non poco a difendere l’autonomia di questa regione, che rischiava addirittura di essere annessa alla Francia. Ce ne può parlare?

Sempre nel 1946 iniziai a collaborare ad un settimanale che si chiamava “Lo Partisan”; io scrivevo in italiano e un traduttore locale ne faceva una versione in “patois”.

Io mi recavo una volta alla settimana in Val d’Aosta ed il programma del giornale era di difendere l’autonomia della Regione dalle mire espansionistiche della Francia che intendeva partecipare agli accordi di pace come vincitrice, anche vendicandosi della dichiarazione di guerra che Mussolini dichiarò pochi giorni prima della resa della Francia ai tedeschi, ormai giunti a Parigi.

Il giornale voleva essere anche di stimolo per una rinascita dell’autonomia della Valle d’Aosta, dopo un ventennio di fascismo imperante, il che avverrà in effetti con la creazione della Regione Autonoma a partire dall’1/1/1948, in seguito all’entrata in vigore della Costituzione.

Il giornale aveva già cessato le pubblicazioni da tempo.

Purtroppo molti di questi giornali, come ha già evidenziato per “Lo Partisan”, ebbero vita assai breve. Come mai?

Perché sopravvissero solo i giornali che avevano alle spalle potenti finanziatori (industriali e/o banche) o che erano sostenuti dai Partiti di massa.

Così in un breve arco di tempo cessarono le pubblicazioni sia “Giustizia e Libertà”, in concomitanza della crisi che colpì il Partito d’Azione, sia “L’Opinione”, sia il “Mondo Nuovo”, sia, infine, “Il Popolo Nuovo”.

Viceversa ripresero vigore e riuscirono ad affermarsi, conquistando masse di lettori, i giornali dei grandi Partiti, in particolare l’Unità, organo del Pci, ed i quotidiani d’informazione o “indipendenti”, anche grazie alla novità delle edizioni serali: mi riferisco a “Stampa Sera” e a “Gazzetta Sera”.

Alessandro Re

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