In un paese che ne ha piene le scatole di esperti, intellettuali, specialisti, il rapporto ISTAT sull’Italia del 2019 di fine giugno è stato rapidamente consumato, travolto da Carola e da Savoini. Peccato, perché per qualche minuto qualcuno si era accorto che il paese sta invecchiando troppo velocemente, che l’economia ansima e soffrono non solo i consumi, ma anche gli umori e le culle delle famiglie italiane, e addirittura che le cose sono forse in una qualche relazione. Le 237 pagine prodotte dall’Istituto centrale di statistica meriterebbero invece una lettura e un consumo più riflessivo. In particolare, la parte relativa alla struttura della popolazione e della famiglia ha più di un motivo di interesse.

Viviamo sempre di più e facciamo sempre meno figli. Non siamo gli unici. Nelle società benestanti si campa meglio e quindi più a lungo. Ma in quelle demograficamente in salute si cerca anche di fare in modo che il numero dei giovani non diminuisca troppo. Lo si fa con politiche ovviamente, con servizi, progetti, esperimenti, innovazioni sull’organizzazione del welfare e con fiscalità di scopo.

In Italia allungamento della vita e natalità si sono invece separati da tempo, producendo l’invecchiamento della popolazione più rapido d’Europa. All’anagrafe del 2018 sono state registrate 449.000 nascite, 10.000 in meno del 2017, -130.000 rispetto al 2008. Le morti sono state 636.000. Nel 2019 ci sono 173 ultrasessantacinquenni ogni 100 giovani sotto i 15 anni. Erano 143 nel 2008. I giovani tra i 20 e i 34 anni sono 9 milioni e trecentomila, il 16% della popolazione. Sono 1.380.000 in meno rispetto al 2008. Vivono in maggioranza con un genitore, patiscono della cosiddetta sindrome del ritardo spostando in avanti le fasi della vita, inclusa la maternità. Condividiamo con la Francia il record di ultracentenari, sono 15.000. Si è anche fermato l’apporto dato dalla popolazione immigrata e dal 2015 la popolazione decresce costantemente.

La lunga marcia della grey society comincia nella seconda metà degli anni ‘70 quando il numero di figli per donna scende sotto quota due (il tasso di rimpiazzo e di equilibrio è 2,1 per donna).  Nessuno se ne è occupato in trent’anni. I redditi famigliari più precari e incerti, la maggiore occupazione della donna, insieme al rischio di perdita dell’occupazione dopo la maternità, i costi per crescere i figli, pochi servizi e aiuti sociali di cui si può beneficiare per i figli, hanno esasperato questo trend cui l’organizzazione sociale non ha saputo dare risposta. Il mother’s index regionale elaborato da ISTAT per Save the Children, titolato in modo significativo Le equilibriste,  ci dà qualche aiuto empirico dicendoci che le comunità che investono su un ambiente più attento e curato per coppie e madri qualche risultato lo ottengono. In Italia si trovano in Trentino-Alto Adige (tasso di natalità migliore d’Italia 1,8 figli per donna), Valle d’Aosta, Emilia-Romagna, mentre i casi critici li troviamo nelle regioni del Mezzogiorno (Sardegna addirittura con 1,06 figli per donna). Per social and family protection spendiamo l’1,8% del PIL (media UE 2,4, Svezia 3%), con regole complesse che generano ovviamente mille elusioni e abusi. Non abbiamo un sistema di congedi parentali, con livelli tra i più bassi di utilizzo delle scuole per l’infanzia.

E’ difficile dire quale sia la popolazione ottimale ed è importante pesare l’effetto di longevità biologica e creativa della popolazione. Vite più lunghe, attive e brillanti ci invitano come dice lo storico Peter Laslett a disegnare una nuova mappa della vita e a osare esperimenti sociali e nuove organizzazioni di welfare, cercando un equilibrio del tutto nuovo tra invecchiamento, longevità e natalità.

L’ISTAT di epoca “sovranista” ha coraggio e non ci gira intorno. “In assenza di decise politiche mirate alla crescita del patrimonio demografico e a misure per garantire gli equilibri del sistema previdenziale, nel futuro l’Italia sarà inevitabilmente destinata – in assenza di ingenti contributi sul fronte migratorio difficili al momento da immaginare – a saldi sempre più negativi tra la quantità di futuro “prodotto” e il complesso di anni-vita persi o consumati.”

E’ vero che i giovani sono merce politica poco sexy, che sono pochi e tendono a non votare. Tuttavia, assistere passivamente a ciò che accadrà sarebbe una cattiva scelta per tutti.

Andrea Bairati

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