Il ritorno alla realtà è sempre duro e faticoso. Difficile da accettare dopo tante promesse propagandistiche.

L’ISTAT, ancora una volta, ci riporta sul marciapiede della realtà. Quella di un paese che non cresce, al di là delle previsioni, che non trova misure adeguate alla realtà ormai drammatica del nostro contesto sociale.

L’ultimo report relativo al 2018 potrebbe dar vita a due interpretazioni

La prima .. ottimistica: il livello della povertà non è più cresciuto. Il fenomeno non è peggiorato. Il numero degli italiani “sotto soglia” è rimasto all’incirca immutato.

La seconda, a mio avviso, più realista: il fenomeno della povertà generalizzata non scende. I numeri rimangono altissimi.

Non si può pensare che la nostra coesione sociale resista con oltre 5 milioni (l’8.4% del totale) di poveri e con 1,8 milioni (il 7% del totale) di famiglie in stato di indigenza.

La lettura della fotografia pubblicata dall’ISTAT è da incubo. Le statistiche sono riferite al 2018 ed è vero che si è arrestato il fenomeno di crescita ma i dati rimangono a livelli altissimi.

Nel 2018 si sono incominciati a sentire i primi risultati della misura varata dal Governo Gentiloni, il cosiddetto REI e non sono stati registrati ovviamente gli impatti del Reddito di Cittadinanza che è entrato in vigore soltanto nel II trimestre del 2019.

Il tanto contestato REI ha dato quindi un primo, anche se parziale, segnale positivo: l’1,7 miliardi impegnato da tale misura ha stabilizzato i flussi e ha bloccato l’espansione che ormai durava da tre anni dell’indice di impoverimento della nostra popolazione.

Entrando nel dettaglio dell’indagine ISTAT, si registra che le famiglie più giovani (18-34 anni) hanno minore capacità di acquisto e minore tendenza al risparmio. Sono così classificate come “povere assolute” nel 10.4% dei casi. Quando invece il capo famiglia ha oltre 64 anni questo indice cala sensibilmente fino al 4.7%. Evidentemente l’effetto delle pensioni e il risparmio cumulato in una vita lavorativa permettono questa differenza tra le famiglie con dei genitori anziani e quelle con dei genitori più giovani.

Il Meridione costituisce la parte più fragile del paese (9.6% contro il 5.3% del nord). L’ISTAT ci conferma che l’impoverimento della nostra società è un fenomeno trasversale che ha dei punti di maggiore rilevanza ma si spalma ormai su tutta la popolazione e ha una presenza anche nelle cosiddette aree più ricche dello stivale.

“Il peggioramento del nord è cominciato nel 2008 – ha scritto Massimo Baldini sul sito “Lavoce.info” – quando l’incidenza della povertà assoluta è più che raddoppiata in tutti i territori: al nord tra il 2007 e il 2018 è passata dal 3.1% al 5.8%; al sud dal 4.6% al 10%”.

Si sperava che la ripresa economica registrata nel biennio 2014-2015 potesse invertire il trend, ma nella realtà i numeri hanno continuato a peggiorare.

Anche l’istituto di ricerca fondato da Ilvo Diamanti, l’Osservatorio Demos & Pi, registra lo stesso trend. Un sondaggio del febbraio 2019 indica nel lavoro la maggior fonte di preoccupazione di tutte le fasce della popolazione italiana. Al secondo posto, distaccate, la criminalità e l’immigrazione. Ma la priorità assoluta, anche nel nord-est, il territorio più fibrillante del paese, rimane la mancanza di lavoro. Di qui la paura e la conseguente preoccupazione che gli stranieri vengano guardati come coloro che “rubano” quel poco che c’è.

Due sono stati gli ammortizzatori sociali che hanno in qualche modo arginato la frana: la cassa integrazione e i risparmi delle famiglie.

La prima ha protetto il capo famiglia, la seconda i giovani che non trovavano o perdevano il lavoro. Le famiglie hanno dato fondo ai salvadanai e si sono indebitate per cercare di proteggere i figli per mantenere inalterato lo standard di vita.

In definitiva, il dato drammatico sul quale il nostro governo dovrebbe riflettere a lungo senza contaminazioni propagandistiche è che la povertà assoluta è quasi triplicata rispetto alla situazione pre-crisi del 2007.

I giovani in questa condizione sono addirittura quadruplicati. Stiamo parlando dei più poveri tra i poveri, cioè di quanti non riescono a comprare beni e servizi essenziali per una vita dignitosa.

Non dobbiamo stupirci troppo di questa tragica situazione. La povertà non si risolve da sola oppure con stanziamenti come il REI varato dal Governo Gentiloni nel 2017 e distribuito nel 2018.

La povertà si combatte con misure radicali e con politiche integrate. Al prossimo report dell’ISTAT potremo verificare gli effetti dell’introduzione del Reddito di Cittadinanza anche se i dati non potranno che essere parziali essendo il provvedimento stato attivato solamente qualche mese fa.

Linda Laura Sabbadini concludeva così il suo commento su La Stampa sulla triste situazione in cui è sprofondato il nostro paese: “I poveri non possono più aspettare e hanno bisogno non solo di trasferimenti monetari ma anche di politiche integrate di inclusione come ci indirizza la nostra Costituzione, presidio dei diritti, che senza citare mai la parola povertà, assume un approccio globale per combatterla e di stimolo al potere perché se ne faccia carico per ricostruire la coesione sociale del paese”-

Quando le classi dirigenti politiche italiane ed europee incominceranno davvero ad occuparsi di questo problema? Quando le disuguaglianze diventeranno la priorità degli interventi della politica in senso generale?

Nel dibattito odierno, tutto ciò non viene affrontato.  Ci si limita a slogan o a promesse propagandistiche.

Siamo su un treno lanciato a 200 km all’ora contro un muro senza manovratore … quando ci sarà la consapevolezza di arrestarne la corsa prima che sia troppo tardi?

Riccardo Rossotto

 

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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