Chiarisco subito la mia posizione, alla stregua dei suggerimenti del grande e indimenticabile Piero Calamandrei: se parli o scrivi  di politica o di storia, anticipa subito la tua opinione per rispetto dei tuoi interlocutori e per evitare manipolazioni, anche non volute, delle tue parole.

Sono felice della scelta operata dal nostro Presidente Mattarella: questa è la mia idea.

Nei momenti difficili di un Paese, bisogna che al timone ci sia il migliore accompagnato da una squadra di competenti.

Mario Draghi, come scrivevo il 21 dicembre scorso, può davvero diventare “l’uomo giusto al momento giusto”.

Ci sono pro e contro: certezze e rischi.

Su queste incognite ma anche su queste speranze, vi rinvio al mio articolo “È in arrivo Mario Draghi?”

Ma chi meglio di lui, può impostare un programma serio e sostenibile per farci uscire dall’incubo pandemico e dalla recessione economica conseguente?

Sono convinto nessuno altro: per autorevolezza, reputazione internazionale, esperienza di situazioni difficili, intransigenza sui valori di riferimento.

Ha salvato l’Europa e l’euro e ora può salvare il suo Paese: la nostra Italia.

Qualcuno ha scritto che questa crisi ha segnato il fallimento della politica e la necessità di dare il timone ai tecnici.

Mi permetto di dissentire.

Questa crisi di governo ha segnato, a mio avviso, il fallimento di una certa modalità di fare politica: quella fondata su una partitocrazia autoreferenziale, indifferente ai bisogni del Paese e tutta concentrata a perpetrare il proprio potere… “a prescindere” come direbbe Totò.

Quella che stiamo vivendo in queste ore di attesa degli sviluppi dell’incarico esplorativo conferito a Draghi da un Mattarella che, stufo delle baruffe dei partiti, ha “saltato il fosso” e, pur rimanendo rigorosamente all’interno della prassi costituzionale, senza ulteriori consultazioni, ha dato il mandato a Mario Draghi, questa, dicevo, e’ la politica bella, alta.

Quella che, per capirci, obbliga i partiti ad uscire dall’ordinaria amministrazione del potere e, pena l’emarginazione, ad occuparsi di programmi, di strategie, di problemi concreti, di alleanze “con chi” e per “fare cosa”.

Finalmente una politica che miri alla ricerca di una soluzione, certo auspicabilmente concertata con e tra i partiti, ma non, a tutti i costi, ecumenica e tendente alle continue mediazioni al ribasso: finalmente concreta, comprensibile e rivolta soltanto all’impostazione seria e non velleitaria di un programma per affrontare le drammatiche priorità del nostro Paese.

Può bastare un uomo, seppur dotato di curriculum eccezionale, per risolvere gli annosi problemi che bloccano la crescita del nostro amato Paese?

Certamente non da solo ma non sottovalutiamo, proprio leggendo tra le righe il messaggio pubblico di Mattarella al momento dell’incarico a Draghi, un aspetto: la nomina di Draghi, come sta fortunatamente succedendo proprio in queste ore, ha obbligato tutti i partiti a cambiare registro.A cercare uno scarto differenziale, non dico di orgoglio ma di opportunità.

Ha sparigliato il tavolo costringendo tutti i protagonisti a modificare il flusso dei loro neuroni celebrali.

Seguiamo insieme la scansione degli eventi di giovedì 4 febbraio, una data storica di questa crisi e forse non solo di essa.

Ci dimostra come in 24 ore lo scenario politico italiano sia cambiato drasticamente e in modo imprevisto….forse non da Mattarella.

Si è incominciato al mattino, quando Draghi non comunicava il programma dei vari incontri con i partiti: una assoluta anomalia nella storia del nostro Paese.

Aspettava qualcosa:aspettava di ricevere i primi segnali dai leader politici dopo lo smarrimento del fallimento del tentativo del Conte ter, il successivo fastidio per la nomina di un tecnico senza che il Presidente li avesse interpellati, la sottostima di cosa stesse succedendo.

Il primo ad uscire con una dichiarazione pubblica, bisogna dargliene atto, era Di Maio che in televisione verso le ore 12 chiedeva formalmente ai suoi “una prova di maturità“ dopo aver sentito il “mai con Draghi” gridato da una parte dei parlamentari grillini al momento del suo incarico al Quirinale.

Pochi minuti più tardi, Conte, con la studiata coreografia del tavolino in piazza Colonna con alle spalle il Parlamento e non Palazzo Chigi, scendeva formalmente in campo dichiarandosi disponibile a guidare il Movimento 5 Stelle nella prosecuzione di una alleanza con PD e Leu da riproporre al neo Primo Ministro incaricato, augurandogli nel contempo un sentito buon lavoro.

Passavano altri pochissimi minuti e Zingaretti si allineava all’ipotesi Conte confermando la disponibilità a proseguire con Draghi il lavoro già in parte svolto dal governo Conte 2.

Ma non basta!

Berlusconi dal suo buon ritiro di Nizza dichiarava, a sua volta, la disponibilità di Forza Italia a sostenere il governo Draghi, impegnandosi ad essere presente direttamente a Roma per guidare la delegazione del suo partito nella consultazione con il presidente incaricato.

Il centro destra si stava sfaldando?

Sembrava proprio di sì: la mossa Draghi aveva incrinato quel patto a tre che nelle ultime settimane sembrava di ferro. Berlusconi aveva rotto le fila fino a quel momento compatte; la Meloni resisteva sulla posizione elezioni anticipate o niente appoggio…e la Lega? E il rigidissimo Salvini?

Nel primo pomeriggio di quel giovedì 4 febbraio, dopo una riunione plenaria con tutto lo stato maggiore del partito riunito a Roma, Salvini, con al fianco, di nuovo, particolare non marginale, Giorgetti cambiava toni e lessico e dichiarava il suo interesse al tentativo Draghi “perché la priorità è il Paese, non altro.”

Il quadro si era stabilizzato: Draghi poteva iniziare il programma di consultazioni con i partiti!

In un giorno soltanto, dopo un iniziale diffidenza quasi infastidita, praticamente tutto il Parlamento italiano, salvo Fratelli d’Italia, si accodava al progetto  Draghi, certo ciascun partito con i suoi formali e apparenti distinguo.

Al tramonto di quello storico giovedì, circa l’85% dei parlamentari italiani si dichiarava disponibile a ragionare sul programma del nuovo governo!

Dunque alla domanda legittima che ci ponevamo poco fa… ma un uomo solo, seppur autorevole e stimato in Italia e all’estero, può smuovere un Paese fermo e avviluppato su stesso, obbligando tutti i partiti a cambiare lo spartito dei loro programmi?La risposta è si, come ci sta dimostrando la situazione che abbiamo sotto gli occhi.

“Posso non esserci in un governo che rischia di cambiare la storia del Paese in senso positivo?”. Questo è il dubbio che deve aver ronzato nelle teste dei nostri leader politici in queste ore e scatenato poi la quasi totalità di assensi all’iniziativa.

Tutto risolto allora?

Come ben sappiamo no.

Ma, a differenza del passato, siamo di fronte ad uno scenario nuovo e imprevedibile, denso di segnali positivi.

Per esempio, a differenza degli altri governi tecnici chiamati in passato a risolvere crisi gravi (Ciampi, Dini, Monti), in questo caso non c’è un tema di austerità, di rigore, di immediati provvedimenti di stretta della spesa. Anzi! Bisogna spendere e soprattutto spendere bene i fondi europei che ci sono stati allocati. Il programma di governo può essere espansivo senza, ovviamente dimenticarci del debito che ci opprime.

Certo, bisognerà condividere un programma di cose da fare, delle priorità da affrontare… d’altronde a tutti ben note ormai.

L’occasione da non sprecare è che Draghi farà una sua sintesi delle cose che gli sono state dette dalle varie delegazioni dei partiti e, nel secondo giro di consultazioni, la comunicherà ai partiti.In quel momento si giocherà la fase  decisiva di questa partita a scacchi innescata da Mattarella.In quel momento si vedrà chi avrà il coraggio di chiamarsi fuori, di non aderire ad un programma di governo che, bene o male, nel suo perimetro di massima già conosciamo tutti .In quel momento si decideranno non solo le sorti del governo ma quelle del Paese.

Il centro sinistra potrebbe avere l’occasione di diventare davvero e finalmente un partito riformista facendo le riforme non discutendo sul sesso degli angeli senza concludere nulla.

Il centro destra l’opportunità di uscire da una posizione di pura rottura “anti”, diventando finalmente il rappresentante di tutti i moderati italiani, europeisti e distinti e distanti da ogni forma di sovranismo e di fascismo.

Insomma una straordinaria opportunità che nessuno può permettersi di non cogliere, non partecipando alla sua gestione.

“Oggi il Paese ha una occasione unica per riprendere il proprio posto nel mondo e dare un futuro ai suoi figli, ma per coglierla non bastano le qualità eccezionali di un uomo solo. Anche lui ha bisogno di una assunzione collettiva di responsabilità” ha scritto Federico Fubini sul Corriere della Sera.

Condivido e assisto con emozione agli sviluppi di una possibile svolta che potrebbe essere epocale per il rilancio della nostra Italia.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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