Il Museo Diffuso della Resistenza di Torino ha da poco un nuovo Presidente, è Roberto Mastroianni che sul suo sito si presenta come “filosofo, curatore e critico d’arte, ricercatore indipendente di semiotica, estetica filosofica e filosofia del linguaggio presso l’Università degli Studi di Torino e ha scelto di rilasciare la prima intervista a L’Incontro.

Il sito da un po’ non è aggiornato, adesso dovrò metterci mano. Sì, comunque, mi occupo di filosofia e il mondo accademico italiano è molto complesso nelle sue strutture e affiliazioni e io svolgo le mie attività di ricerca presso due Centri di Ricerca molto prestigiosi del nostro Ateneo: il C.I.R.Ce – Centro Interdipartimentale Ricerche sulla Comunicazione e la Cattedra Unesco in Sostenibilità ambientale e Territory Mangement.

Mi occupo di filosofia, estetica, Urban Studies, antropologia, semiotica… e molte altre cose. Negli ultimi anni ho unito la ricerca accademica con l’attività di curatore e critico d’arte, mettendo assieme delle mostre narrative per spazi pubblici e privati che volevano essere un modo per raccontare il presente e la nostra società con gli strumenti delle arti del contemporaneo.

L’attività di curatela è sempre stata per me un’azione con la quale spiegare la realtà, attraverso uno sguardo filosofico utile a far emergere mondi complessi e portarli a rappresentazione.  Alterno la ricerca con attività curatoriali che sono nello stesso tempo divulgazione, approfondimento teorico e narrativa. Diciamo che il filo rosso che tiene tutto assieme è l’impegno civile che muove domande e cerca risposte, entrambe da raccontare con gli strumenti dell’arte e dei linguaggi del contemporaneo.

Mi sono laureato con Gianni Vattimo, ormai tanti anni fa, con il quale ho diviso anche forme di impegno politico, sociale e amicale e ho preso un Dottorato di Ricerca con Ugo Volli, uno dei più importanti semiotici europei – amico e maestro -, diciamo che di intellettuali di grande forza e prestigio ne ho incontrati tanti nella vita, ottimi maestri e ottimi punti di riferimento, anche polemico a volte, ma sempre fonte di grandi punti di crescita umana e intellettuale. Sono stato fortunato.

Mi sembrava doveroso, inoltre, rilasciare le prime dichiarazioni a un giornale come il Vostro, vista la vostra storia. L’Incontro è stato per 70 anni uno dei luoghi più importanti del dibattito delle menti migliori del mondo laico e progressista torinese. Vi ringrazio della disponibilità. Lo vivo come un omaggio a una figura alta e importante come quella di Bruno Segre, uno dei miei punti di riferimento politici più importanti, diciamo…

Quando è avvenuta la nomina?

Il 18 luglio l’Assemblea dei Soci del Museo Diffuso della Resistenza, della Guerra, della Deportazione, dei Diritti e delle Libertà mi ha eletto Presidente, ero stato nominato nel Direttivo dalla Città di Torino e subentro a Franco Quesito che è stato nominato nel CDA del Polo del ‘900. Sono molto grato all’Assessora Francesca Leon per aver avanzato la mia candidatura e alla Sindaca per avermi nominato. È stato un percorso inaspettato nato qualche mese fa, dopo che avevo presentato domanda al bando pubblico, mi pare una scelta coraggiosa la loro e io ne sono onorato.

In che senso coraggiosa?

Spesso la Presidenza di enti prestigiosi come il Museo si danno a politici in pensione o a intellettuali della propria area politica. Io non sono in pensione e non sono organico a questa maggioranza, che però ad essere sincero non osteggio neanche come fanno molti in città. Sono un civil servant e da tale mi comporto. Inoltre mostra la volontà da parte di chi mi ha nominato di aprire una fase di rinnovamento nei linguaggi e nella proposta, affidandosi a un quarantenne che ha come linee guida il binomio innovazione e tradizione espresso in modo contemporaneo.

Perché da che storia politica arriva? 

Una volta avrei detto un socialdemocratico laico, eretico e libertario, dalla formazione cattolica matura, ma comunque la mia storia parla per me, di politica ne ho fatta tanta ho lavorato anche per istituzioni nazionali e internazionali. Comunque il mio curriculum è pubblico e tutti sanno cosa ho fatto, anche se alcuni tendono a rimuovere o a strumentalizzare. Diciamo che ho cominciato ad avere un forte impegno politico e sociale nel mondo dei diritti a 14 anni e adesso ne ho quasi 41 e non ho mai cercato una candidatura, a dimostrazione che l’impegno può essere tale anche al di là della sfera della rappresentanza politica.

Devo dire, però, che in tutti questi anni di impegno civile in Città è la prima volta che vedo tanto impegno e attenzione verso il futuro dell’ente e di ciò, sia io, sia Franco Quesito, che mi ha preceduto, non possiamo che dare merito all’Amministrazione.

Qual è la sua idea di Museo Diffuso?

Io credo che Torino sia il Museo Diffuso della Resistenza, dei Diritti e delle Libertà. I musei, soprattutto quelli contemporanei, sono dei templi in cui si custodisce l’identità di una comunità e si portano a rappresentazione le contraddizioni, le linee di rottura e di crescita della società. Questo è ancor più vero per un museo come questo, inserito in una città che è stata per decenni il punto di riferimento in Italia per la lotta per i diritti e le libertà, a partire dall’esperienza resistenziale. Insomma Torino è il Museo Diffuso della Resistenza, della Guerra, della Deportazione, dei Diritti e delle Libertà, perché in qualche modo Torino è nella sua storia tutte queste cose.

Quale tipo di ruolo è richiesto come Presidente, quale obiettivi e strategie possono caratterizzare e far meglio conoscere il Museo?

Io sono stato nominato Presidente e presiedo il Direttivo, formato da persone di altissimo valore, tra di queste Riccardo Marchis dell’Istoreto, che è stato confermato Vice Presidente, e Adriano Andruetto di ANCR oltre avere grandi qualità hanno grandi competenze. Il Presidente si occupa del governo dell’ente insieme al Direttivo e insieme ad esso produce linee di indirizzo e sviluppo del Museo. Diciamo che mi riservo di portare tutta le mie competenze e metterle a servizio e a sistema con il resto del Direttivo.

Ci siamo trovati tutti molto allineati sull’idea di rendere il Museo un luogo maggiormente attrattivo per il vasto pubblico, in modo che possa svolgere il suo compito di custode di una memoria storica e di educazione alla cittadinanza e alla democrazia nel modo migliore e più comprensibile per le nuove generazioni e i nuovi cittadini. Io mi ispiro a un’idea di cultural democracy e accessibilità che cercherò di portare avanti facendo nascere nuove collaborazioni con gli enti culturali del territorio. Inoltre, il mio mandato da parte dell’assemblea dei soci, specialmente del socio di maggiore riferimento (la città di Torino), è chiaro: trovare una maggiore integrazione con il Polo del ‘900, sempre nel rispetto dell’identità del museo però. Non vedo l’ora di confrontarmi con due persone di grande valore come Sergio Soave e Alessandro Bollo e lavorare con loro. Sono sicuro che sarà una proficua collaborazione

In che situazione si trova attualmente il Museo della Resistenza, vi sono progetti in corso, mostre o altre iniziative?

Sui progetti mi riservo di parlarne dopo settembre, momento in cui con il Direttivo presenteremo alcune proposte e idee di programmazione dell’ente. Posso solo dire che abbiamo già delle idee per segnare una nuova presenza in città con costi contenuti e attività significative. In questo momento il museo non ha un Direttore e, in attesa di trovare le forme più opportune per selezionarne uno, il Direttivo ha deciso di supplire alle sue funzioni in relazione con i dipendenti. Ma sono sicuro che arriverà anche un nuovo Direttore all’altezza e in tempi abbastanza brevi. Il Museo che ho ereditato da Quesito è un’istituzione economicamente a posto, con dei dipendenti che fanno il loro lavoro con una grande vocazione e grandi competenze. Sono una risorsa fondamentale e verranno valorizzati per superare questa fase complessa, in cui il Direttore è vacante e il Museo si re-inventa. Continua l’attività didattica in modo molto qualificato, il progetto delle “pietre di inciampo” e le attività in collaborazione con il Polo.

Ne riparliamo a Settembre, insomma.

Immagina il museo come un oikos greco, una “casa” che per i greci non era soltanto il mondo degli affetti, ma spazio politico con una garanzia di autonomia, a disposizione degli altri cittadini e capace di trasmettere il senso dell’ethos

Immagino il museo come un tempio laico in cui tutti possano riconoscersi, perché è il luogo in cui viene custodita la memoria storica di una Città medaglia d’oro della Resistenza e in cui i valori fondanti della nostra comunità accettano la sfida di adeguarsi al mutare dei linguaggi e alle sollecitazioni del presente. In questo senso sì: il Museo è la “casa” della nostra comunità e, nello stesso tempo, un luogo in cui tutte le persone devono poter essere portate a riconoscersi come membri della comunità.

Il Museo è una specie di rappresentazione tridimensionale della nostra Carta Costituzionale.

Ritiene ancora vivo e vitale il portato storico della Resistenza o c’è il rischio che sia divenuto, come nel film Luci d’inverno di Ingmar Bergman, dove un prete che ha perso la fede predica in una chiesa vuota, una voce che parla nel silenzio? E’ qualcosa a cui crediamo ancora? 

Amo molto Bergman, ho scritto su di lui, sono stato in Svezia – a Färo l’isola in cui si rifugiava -, ho lavorato a un progetto d’arte anni fa sui suoi temi esistenziali e filosofici. Apprezzo il riferimento, insomma, e dico che i temi e i valori contenuti nel museo, in primis la Resistenza, devono essere raccontati con un linguaggio più contemporaneo possibile in modo che possano essere capiti, compresi e accolti, proprio in quanto temi esistenziali, umani e universali dal più ampio numero di persone. Insomma se le prediche dei preti lasciano le chiese vuote è perché non sono buone prediche, ma questo non è il caso in questione. Il museo ha tutti gli strumenti per raccontare storie che non lascino le “chiese vuote”, rimanendo in metafora.

Al di là dell’analogico o del digitale, del web, dei social, dei tweet “le cose che meritano di essere raccontate” saprete trovare ancora i giusti modi o i giusti supporti per esprimerle?

Ci proveremo. Le sfide sono entusiasmanti, sono un uomo che ama le sfide.

Edmondo Bertaina

 

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