C’è un tempo indefinito, lontano dall’oggi, tempo vissuto da persone vere che ad ascoltarle ti sembra un romanzo. Così un giorno chiedo ad Arturo Viale, scrittore di frontiera, di raccontare i luoghi di frontiera, di questa frontiera di Ponente. Storie di frontiera questa volta si fa storia personale minima, la cui somma ha inequivocabilmente il sapore della Storia.

Mi sono sempre piaciuti i ricordi e le storie “ racconta Viale. Prima puntata in 4 luoghi. Sono i luoghi più prossimi alla frontiera, di qua e di là: Latte, il luogo che ci riporta a Nico Orengo per intenderci, poi Ventimiglia dove l’autore è nato, Mentone e Castellar, proprio al confine, in alto sulla frontiera. Storie vere che sembrano un romanzo: il privilegio di allontanarsi dall’ oggi per leggerlo meglio .

1 – Parlaci di Latte

A Latte andavo a prendere il vino per l’osteria con mio padre, il biroccio e la mula. Era un rossese robusto nel quale finiva anche l’uva bianca tabacca o massarda che ne alzava un po’ la gradazione. Vino buono ce n’era anche nei dintorni a Canun e in Piematun e si disse che fosse piaciuto molto a Napoleone quando era passato da quelle parti. La piana di Latte, ai miei tempi giovanili, era coperta di fiori coltivati con precisione geometrica in pien’aria.

Una volta in quel punto raggiungeva il mare il torrente Bevera che scende dalle montagne dietro a Sospel. Poi, chissà quando, si era staccata una zolla di terra dalla Longoira grande quanto basta per deviare il letto del torrente proprio dove c’è sant’Antonio fino a far diventare il Bevera affluente del Roia.

La foce di Latte era rimasta con poca acqua ma Bruno che aveva già novant’anni andava sempre lì a pescare col rezzaglio, una rete circolare che si lancia in aria e che cadendo intrappola i pesce sul fondo grazie ad una serie di piombi laterali. Raccontava Bruno che ogni anno toglieva un piombo dalla rete per renderla più leggera e più adatta alle sue forze.
La curva dell’Aurelia che attraversa il paese, resa famosa da un romanzo di Nico Orengo, mischiava l’odore emanato dalla distilleria di lavanda di Vincent, all’odore del distributore di benzine di Marcello e a quello della vendita di concimi per i floricoltori. Mi accorgo scrivendo che le tre attività sono tutte scomparse.

2 – Un ricordo di Ventimiglia

Ventimiglia per me è stata per i primi dieci anni della mia vita solo Ventimiglia Vecchia dove c’era la scuola, il Vescovo con la cattedrale, il Barone. Io andavo a scuola negli stessi locali in cui era andato mio padre negli anni Venti. A cinque anni ero andato dalla stessa suora che aveva insegnato a mia nonna. Mi portava il lattaio sul suo motocarro quando aveva concluso il suo giro mattutino di distribuzione del latte sfuso con i bidoni d’alluminio e un misurino.
Dopo secoli un vescovo, ultimo nella cronotassi, ha trasferito la propria residenza scegliendo quella più degna di Sanremo.

Avevo preso la cresima nella cattedrale quando presentava ancora una somma di stili in cui prevaleva il barocco con una fila di altari nelle navate laterali ma poi i lavori del 1967 e degli anni seguenti fecero riemergere, fin troppo, lo stile romanico. Le attrazioni di Ventimiglia erano almeno per tutto il dopoguerra, la battaglia di fiori e il mercato del venerdì. Mia madre aveva colto l’occasione della Battaglia di fiori del 1950 per venire dalla Lomellina a conoscere i parenti ed i luoghi prima di sposare mio padre. Le fasce intorno erano piene di garofani che alla fine della stagione venivano utilizzati per confezionare i carri infiorati con le teste dei fiori. Finite le piantagioni è finita anche la manifestazione.

La fiera del venerdì portava ogni settimana lunghe file di macchine dalla Francia e al ritorno lasciava ai bordi dell’Aurelia confezioni dell’abbigliamento, scatole, sacchetti e carte veline, che i compratori gettavano perché dovevano indossare gli indumenti per evitare questioni in dogana. Poi c’è stata la libera circolazione delle persone e delle merci.

3 – E Mentone cosa rappresenta per te?

A Mentone si andava solo per lo zucchero, il caffè, le banane, le cartine per rollare le sigarette. Bisognava chiedere lo zucchero fine che altrimenti ti rifilavano quello a cubetti secondo le loro abitudini. Da bambino mi stupiva che noi parlassimo tanti dialetti e di là del confine sembrava parlassero solo francese. Quando ero già adulto, maturo e non c’erano più né la nonna, né Pà, ho scoperto grazie al racconto di Calvino che Mentone per tre anni, dal giugno del 1940, era stata italiana. Il giovane Calvino, che abitava a Sanremo, racconta la visita nella città conquistata con un gruppo organizzato di balordi avanguardisti.

In casa mia si parlava di tutto ma su questo episodio di guerra c’era stato il silenzio, e mi sembrò di capire anche molta vergogna da parte di mia nonna. Più tardi me ne parlò con sarcasmo Pierin Tizzoni esperto di vicende legate tra l’altro al contrabbando di vaniglia per il vermouth. In Mentone Italiana erano stati aperti tutti i servizi, cambiate le insegne dei negozi e gli studenti zucconi si erano affrettati ad iscriversi al liceo italiano di Mentone che si diceva dispensasse diplomi di favore. C’era anche il tentativo di inculcare la cultura italiana che in quel momento era cultura fascista. Furono finanziate pubblicazioni dialettali e ci furono francesi accusati di intendersela col nemico italiano rappresentato dal gerarca Giuseppe Frediani nominato commissario civile per Mentone.

Un sabato, anni dopo, vado al mercato di Mentone a prendere un pezzo di pichade, quella che a Ventimiglia chiamiamo pisciadela, e altrove sardenaira, pisciarà.
Sulla parete del mercato è affissa una targa che ricorda che in quel luogo Tavina Orengo ha venduto frutta e verdura dal 1898 al 1940. Da dove venisse questa Orengo me lo immagino e anche al cimitero di Menton tra i cognomi sulle lapidi ci sono molti Palmero e Lorenzi.

4 – Castellar, isolato sul crinale…

Castellaro è l’altra faccia della linea di frontiera tra Francia e Italia, uno punti di partenza per salire sul Grammondo come i Ciotti, Villatella o Olivetta. Ci sono due emozioni che voglio raccontare. La prima coglie subito all’entrata del paese all’angolo della chiesuola di S. Antonio. Un epitaffio ricorda Peirinetta Raibauda ultima donna condannata a morte per stregoneria, nel 1623, impiccata il 16 di novembre e poi bruciata davanti alla porta della chiesa, evitando così la sepoltura in terra consacrata benché il parroco Ballauco avesse affermato che era “solo una povera donna”. Ma il ricordo più disturbante è, poco distante davanti alla chiesetta di san Rocco, la targa che ricorda il posto di frontiera delle camicie nere da giugno 1940 a settembre 1943 durante l’occupazione italiana. Adesso nello stesso punto dove confluiscono i sentieri montani spesso percorsi dai migranti, come il cammino della Longoira e dell’Ormea, si trovano appostate costantemente un paio di camionette della gendarmeria francese col compito di respingere i clandestini che sono riusciti ad evitare il passo della morte.

(continua)

Eraldo Mussa

eralmussa@gmail.com

Ps. Arturo Viale (Ventimiglia 1952) contadino mancato, poi dirigente di banca, è autore di “Oltrepassare-storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza” e di altre opere, tra cui “Punti cardinali da capo Mortola a capo S.Ampelio

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