L’INCONTRO pubblica la prima parte (la seconda parte verrà pubblicata giovedì 9 febbraio) di una lunga intervista che il Dott. Armando Spataro (già Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino), ha cortesemente concesso al nostro collaboratore Avvocato Alessandro Re. L’intervista affronta temi di rilevante attualità in materia di Giustizia, alla luce della recente riforma Cartabia e degli attuali e, in parte, persistenti, problemi degli apparati giudiziari del nostro Paese. Confidiamo che i temi toccati siano di stimoli per ulteriori contributi di altri Autori, come auspicato dallo stesso Dott. Spataro.

1) Qual è la Sua visione oggi, dopo tanti anni in Magistratura, del rapporto essenziale, in uno Stato di diritto e in una Democrazia, tra potere sanzionatorio dello Stato e Cittadino? Se poi non vi è, come talora succede, il potere di fare le indagini né i processi?

Vorrei premettere che non sono un costituzionalista o un sociologo, sicché risponderò ad ogni domanda, magari riprendendo valutazioni che ho già formulato in altre sedi, solo sulla base della mia esperienza pluridecennale di magistrato che ha sempre svolto funzioni di pubblico ministero. Personalmente, sono convinto che in una democrazia il potere sanzionatorio debba essere necessariamente collegato all’accertamento del fatto che giustifica la sanzione e, dunque, debba essere di competenza del potere giudiziario, che – ovviamente – deve essere separato dagli altri poteri ed assolutamente indipendente. Anche i pubblici ministeri, che indagano e nei processi sostengono l’accusa sulla base delle prove raccolte, devono esserlo come i giudici, all’interno di una stessa “carriera”, pur se ciò a molti non piace, spingendoli a citare in maniera incolta alcuni modelli vigenti in altri Stati che si vorrebbero introdurre in Italia.

Dico “incolta” perché si ignorano le diversità degli assetti politici e della evoluzione storica degli altri Stati. E si ignora – soprattutto – che il modello ordinamentale italiano è quello verso cui tende la comunità europea, come sin dal 2000 il Consiglio d’Europa ha raccomandato in nome di una maggiore garanzia dei diritti dei cittadini. Ma sono proprio le opinioni e gli atteggiamenti di ampi settori della nostra società che tendono purtroppo a mutare negativamente sulla spinta di un populismo in espansione a causa di attacchi strumentali alla magistratura italiana provenienti da pezzi della politica e da modalità di informazione non sempre corrette. È innegabile che alla conseguente perdita di autorevolezza concorrono anche atteggiamenti inaccettabili di vari magistrati che esaltano sé stessi e si attribuiscono il ruolo di storici e moralizzatori della società. Ma è auspicabile che si sappia distinguere e si comprenda che la stragrande maggioranza dei magistrati fa pienamente il suo dovere, con sobrietà.

Dunque, i cittadini dovranno ben comprendere che quanto il nostro sistema prevede è irrinunciabile. Diversamente si darebbe luogo ad una “giustizia fai da te” o politicamente eterodiretta. E dovrebbero anche comprendere che la “obbligatorietà dell’azione penale” prevista per i nostri P.M. è anche garanzia della loro eguaglianza di fronte alla legge. Chiunque commette un reato deve sapere che, in presenza di prove sufficienti, sarà processato indipendentemente dal suo eventuale ruolo politico o potere economico.
Ma perché tale principio trovi effettiva applicazione e l’intero mondo della giustizia sia credibile, non bastano buone intenzioni e spirito di sacrificio. Occorrono “organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”, compiti che la Costituzione (art. 110) assegna al Ministro della Giustizia.

Sono ormai molti anni che si è in presenza di gravi vuoti di organico, sia del personale amministrativo, sia dei magistrati, per non parlare di gravi carenze nelle strutture dei palazzi di giustizia e negli apparati informatici. È su questo che si deve intervenire con urgenza, pur se sussistono talvolta inefficienze e/o ritardi addebitabili ad alcuni magistrati. Invece, periodicamente, ad ogni cambio di Governo, si assiste alla “messa in campo” di nuove riforme o progetti di riforme che riguardano reati, procedure ed ordinamento, ma non le strutture. Addirittura il nuovo Ministro Nordio continua a parlare di progetti di nuove riforme che, attraverso cancellazione e modifica di reati o il depotenziamento delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, finirebbero – se approvate – con l’indebolire le possibilità investigative della magistratura e della polizia giudiziaria. Il che sarebbe gravissimo, pensando anche alle ripercussioni sulle attività dei giudici che emettono sentenze in ordine a ciò che i pubblici ministeri riescono a dimostrare.

2) Collegato al punto precedente vi è il tema, rilevante e delicato, del rapporto tra sanzione penale e carcere. Se si può condividere il principio che ogni sanzione penale non deve equivalere alla reclusione in carcere, occorre però che lo Stato sia in grado di attuare le c.d. “misure alternative”. E forse anche delle vere e proprie pene sostitutive irrogate dal Giudice di cognizione, come prevede la Riforma Cartabia. Cosa pensa di tutto questo, nonché della giustizia riparativa?

Pur non essendomi mai occupato direttamente del difficile e complesso “mondo carcerario” o della esecuzione delle pene, ritengo che possa essere fatto un discorso analogo a quello svolto in precedenza sul funzionamento della “macchina giudiziaria”.
In sostanza, da un lato, occorre attenzione al rispetto della dignità della persona incarcerata che non può prescindere dalla struttura in cui si trova, dalla competenza e professionalità della polizia penitenziaria e dei direttori, dai lavori che i detenuti possono e debbono svolgere all’interno del carcere e che spesso sono impossibili. Le strutture fisiche e materiali delle carceri devono essere quindi fortemente adeguate e migliorate ed occorre un rilevante sforzo economico, anziché diminuire, come ora parrebbe, le spese che lo Stato deve a ciò destinare.

In proposito rilevo come sia stata alquanto sottovalutata, anche dai “mass media”, una recente dettagliata raccomandazione della Commissione Europea sulle condizioni strutturali e fisiche che devono rispettare gli Istituti carcerari. Essa affronta, in modo analitico, anche il tema degli spazi che deve avere ciascun carcerato, con i relativi servizi, proprio al fine di evitare il gravissimo fenomeno, vera piaga del nostro Paese, del sovraffollamento delle carceri. Dall’altro lato apprezzo quanto previsto dalla Riforma Cartabia, cioè sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi applicabili già in fase di cognizione, sgravando così la magistratura di sorveglianza, e previsioni in tema di giustizia riparativa, nel rispetto di una direttiva europea (2012/29/Ue), nell’interesse sia della vittima che dell’autore del reato, valorizzando il percorso di riconciliazione tra vittima e reo, su base volontaria, nelle diverse fasi del processo e dell’esecuzione della pena.

In proposito, particolarmente positive sono le previsioni di disciplinare la formazione dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa e le modalità di accreditamento di mediatori esperti, presso il Ministero della Giustizia. Nonché di far erogare i servizi per la giustizia riparativa da strutture pubbliche facenti capo agli enti locali, presenti in ciascun distretto di Corte d’Appello. E, tra l’altro, giudico positiva anche l’estensione dell’applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato.

Non è pensabile però che, in alternativa o attraverso tutto questo, si possa giungere ad una totale abolizione delle misure carcerarie: personalmente sarei contrario pensando alla gravità di tanti delitti ed alla pericolosità di molti criminali. Quindi, occorrerà sempre di più agire sotto un profilo di “vivibilità” delle carceri, proprio avendo cura di sviluppare, all’interno delle stesse, il lavoro, la cultura, gli hobby, lo sport e quant’altro utile. Va reso, in proposito, onore al merito di tutti i volontari che partecipano a tale attività, all’interno del carcere, nell’interesse dei detenuti, così come a quella parte del personale che crede fortemente nello sviluppo di tali attività.

3) Il rinvio della Riforma Cartabia, nel suo complesso, era davvero indispensabile (urgente e necessario)? Per quanto riguarda, poi gli aspetti processuali, il rinvio è imposto dall’inevitabile “intasamento” dei tribunali, del quale molto si parla in questi giorni? Se così fosse saremmo in presenza di un effetto paradossale. Una riforma finalizzata a “convincere” l’U.E. che stiamo riducendo i tempi di durata dei processi penali, in realtà rischia di allungarli ulteriormente!

Per quanto concerne il rinvio della riforma Cartabia è verosimile che esso sia stato determinato più da ragioni politiche che tecniche, dovute da un lato alla “volontà” dichiarata da alcuni politici di introdurre emendamenti idonei a migliorare il testo definitivo, dall’altra – temo – all’opposta scelta di chi vorrebbe cancellarne alcuni passaggi ritenuti troppo “garantisti”. Comunque, non condivido in alcun modo le affermazioni di coloro che sostengono che tale riforma renderebbe più difficili le indagini, agevolerebbe i ricorsi volti ad ottenere maggiori libertà per i mafiosi e, in definitiva, determinerebbe un peggioramento dell’amministrazione della giustizia. Secondo una generalizzata affermazione proveniente sia da partiti che hanno sostenuto la riforma, sia soprattutto, con toni da crociata, da alcuni magistrati, i processi per mafia, terrorismo e per altri reati complessi andrebbero comunque al macero (inclusi alcuni delicati già in corso) per impossibilità di rispettare i termini di improcedibilità previsti.

E la lista dei processi che sarebbero destinati al macero si è via via arricchita (reati contro la P.A., reati finanziari, contro soggetti deboli etc.) a seconda delle specifiche competenze dei magistrati che commentavano la riforma! Insomma si è diffuso un allarmismo mediatico sugli esiti della improcedibilità (definita una sorta di amnistia mascherata che creerebbe sacche d’impunità o manderebbe in fumo centinaia di migliaia di processi) davvero fuori misura, se si considerano le misure preventive presenti nella riforma, finalizzate anche ad evitare che un largo numero di processi approdi in appello.

Non sono da trascurare, invece, l’obiettivo della riduzione del 25% dei tempi della giustizia penale previsto con l’approvazione del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e la connessa aspettativa di beneficiare dei fondi europei: ciò comporta che, partendo dal dato incontroverso della irragionevole durata dei nostri processi, debba essere posto al centro dei progetti di riforma l’obiettivo di riportare il processo italiano a un modello di efficienza, effettività e competitività anche per il sano sviluppo dell’economia e per il corretto funzionamento del mercato.

È per questo che le ragioni che hanno determinato la riforma in questione derivano sia dal contesto sovranazionale che da quello interno al nostro Paese. Secondo il report di valutazione su European Judicial Systems 2020 della Commissione europea per l’efficacia della giustizia del Consiglio d’Europa (CEPEJ), che ha considerato soprattutto la durata dei procedimenti, la quantità delle pendenze e la qualità del “giusto processo”, l’Italia non appare in linea con i livelli di servizio di altri sistemi. Nè si possono trascurare le numerose condanne dell’Italia ad opera della Corte EDU di Strasburgo per la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, previsto anche dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (che parla di “termine ragionevole”).

Insomma la riforma, che pure presenta alcuni passaggi criticabili e da modificare (penso all’attribuzione al Parlamento della individuazione – con legge – dei criteri generali di priorità per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale), piuttosto che essere rinviata, dovrebbe entrare in vigore senza ritardi anche per consentire il giusto equilibrio tra opposte esigenze al fine di abbreviare i tempi dei processi e, nel corso della prima fase di applicazione, per individuare possibili rimedi per le criticità che inevitabilmente si manifesteranno.

Alessandro Re

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