Dopo aver festeggiato il 4 settembre scorso, il 105° compleanno dell’avv. Bruno Segre, proseguiamo i colloqui relativi alle numerose e svariate attività di cui egli si è occupato nella sua lunga ed operosa vita. Oggi affrontiamo un argomento già più volte trattato nelle interviste che l’avv. Segre ci ha concesso e che hanno ripercorso la storia pluridecennale de L’INCONTRO: il divorzio.

Ripercorriamo insieme gli anni ‘60/’70 del secolo scorso, nei quali maturò e fu finalmente introdotto anche nel nostro Paese l’istituto del divorzio. Quali furono le ragioni di tale ritardo storico, ottenuto per di più solo a seguito di battaglie civili e di un “referendum” abrogativo che venne respinto?

Le ragioni di questo rilevante ritardo risiedono fondamentalmente nell’arretratezza culturale del nostro Paese e, soprattutto, nei pesanti condizionamenti che la Chiesa Cattolica ha sempre posto in tutti i campi del vivere civile: basti pensare alla scuola o ai finanziamenti erogati dallo Stato tramite l’8/mille. Anche in merito al divorzio si giunse ad una vera e propria spaccatura nel Paese e nel Parlamento a causa della posizione di assoluta chiusura da parte della Chiesa e dei Partiti ad essa più vicini, Democrazia Cristiana in testa.

Occorre comunque partire da lontano e ricordare che un primo progetto di legge in materia venne già presentato nel 1878, dopo la fine dello Stato della Chiesa nel 1870, a seguito della Breccia di Porta Pia, da un deputato salentino, Salvatore Morelli.
Solo nel 1902 il Governo Zanardelli presentò un disegno di legge che prevedeva il divorzio in caso di sevizie, adulterio, condanne gravi ed altro, ma esso fu respinto con 400 voti sfavorevoli contro 13 a favore.

Con la prima guerra mondiale il discorso poi cadde nell’oblio

Con l’avvento del fascismo e la firma, da parte dello Stato Italiano, dei Patti Lateranensi nel 1929, che riconoscevano lo Stato della Città del Vaticano e, soprattutto, dichiaravano la religione cattolica come unica religione dello Stato, è evidente che ogni discorso sul divorzio venne abbandonato. Solo a distanza di anni dalla fine della seconda guerra mondiale, in un’epoca di profondi mutamenti sia nella forma dello Stato (con l’abolizione della Monarchia e la fondazione della Repubblica e l’approvazione della sua Carta Costituzionale), sia nel costume e nell’economia, il 26 ottobre 1954 il deputato socialista Luigi Renato Sansone presentò alla Camera un disegno di legge per l’istituzione del cosiddetto “piccolo divorzio”, applicabile solo ai matrimoni con individui scomparsi senza lasciare traccia, condannati a lunghe pene detentive, coniuge straniero in presenza di divorzio all’estero, malati di mente, lunghe separazioni fra i coniugi o tentato omicidio del coniuge.

Anche questa proposta di buon senso cadde nel nulla

Si giungeva così al 1965, allorché in concomitanza con la presentazione alla Camera dei Deputati di un progetto di legge per il divorzio da parte del deputato socialista Loris Fortuna, iniziava la mobilitazione del Partito Radicale per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’istituzione del divorzio in Italia. Soprattutto dopo il 1969, insieme alla Lega Italiana per l’istituzione del Divorzio (LID), il Partito si mobilitò con grandi manifestazioni di massa e una continua azione di pressione sui parlamentari laici e comunisti ancora incerti.

Veniamo ora ad esaminare che cosa è stata la Lega Italiana per il Divorzio (L.I.D.).

La vera svolta per l’introduzione nel nostro ordinamento del divorzio si ebbe, in effetti, proprio con la fondazione della Lega Italiana per l’Istituzione del Divorzio (LID) nel 1966: la LID ebbe infatti il merito di coinvolgere, unitamente ai radicali ed a pochi altri politici, i cittadini che compresero essere giunto il momento di muoversi contro una concezione anacronistica e coercitiva del matrimonio e della famiglia. Si tennero manifestazioni in tutte le città d’Italia, dibattiti e propaganda su giornali e TV.
Dall’altro lato gli antidivorzisti contrapposero veglie di preghiera, campagne di stampa assai dure (Osservatore Romano in testa), tentando di far valere la forza dei numeri in Parlamento. Viceversa, seppur per pochi voti, il testo di legge fu approvato sia in Senato sia alla Camera e il divorzio, con la legge n. 898 del 1° dicembre 1970, venne introdotto nel nostro Paese. Desidero ricordare come la parte più retriva del Parlamento votò contro la riforma con i voti della Democrazia Cristiana e del Movimento Sociale Italiano.

Che cosa avvenne dopo?

La vicenda era tutt’altro che conclusa in quanto gli antidivorzisti si organizzarono immediatamente per abrogare la legge appena approvata attraverso il ricorso al “referendum”. Già nel gennaio 1971 venne depositata alla Corte di Cassazione richiesta di tale “referendum” da parte del “Comitato nazionale per il referendum sul divorzio”, presieduto dal giurista cattolico Lombardi (che si qualificava “il microfono di Dio”), con il sostegno esplicito dei partiti sopracitati e della Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Vi furono tentativi anche in Parlamento di superare la situazione di contrapposizione, non andati a buon fine, mentre il “referendum” veniva ammesso dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale. Si giunse così al 12 maggio 1974, data in cui gli italiani furono chiamati al voto per decidere se abrogare la legge del 1970. La battaglia in tutto il Paese fu infuocata e la partecipazione dei cittadini al voto fù notevole: l’87% degli aventi diritto si recò alle urne e votarono NO alla abrogazione della legge il 59, 3% dei cittadini, mentre il 40,7% votò SI. La legge, poi modificata nel 1978 e nel 1985, rimase quindi in vigore segnando un passaggio epocale nelle dinamiche sociali del nostro Paese, stabilendo una volta per tutte un chiaro principio contrario alla pretesa indissolubilità del matrimonio, come aveva sempre voluto la Chiesa.

Quale fu il Suo personale contributo alla LID ed alle battaglie divorziste?

Il mio ufficio legale in Via Consolata,11 divenne la sede torinese della Lega Italiana per il Divorzio (LID). Vi affluivano i fautori e i sostenitori, bisognosi di liberarsi dal vincolo della separazione personale, mentre nelle parrocchie si raccoglievano le firme dei cattolici ostili a questa forma di scioglimento del vincolo coniugale.
Ricordo che un sacerdote, senza rivelare il suo nome, mi telefonò avvertendomi dell’azione collettiva in corso nelle parrocchie avverso il divorzio.

La LID. da me diretta svolse un’attiva propaganda anche mediante altoparlanti installati sul tetto delle nostre autovetture che percorrevano le vie di Torino e dei dintorni. Una volta noleggiai un piccolo aereo da turismo facendo lanciare sulla città dei manifestini annuncianti “il divorzio non viene dal cielo ma dall’approvazione del progetto dell’on. Fortuna che parlerà stasera alle 18 al Teatro Gobetti”. Quando l’on. Fortuna vide una folla di spettatori al suo comizio rimase di stucco non avendo mai incontrato una folla simile, così entusiasta. In definitiva credo di aver dato un contributo importante all’introduzione del divorzio, che permise a tante coppie, anche tramite i miei consigli professionali, di sanare situazioni ormai consolidate nel tempo, sciogliendo definitivamente un matrimonio fallito.

Alessandro Re

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