Gran polemica si è scatenata in Italia sulla “capitana” Carola Rackete: premiata dal Comune di Parigi con la medaglia Grand Vermeil “per aver salvato migranti in mare” e in quanto “perseguitata dalla giustizia italiana”, dopo che alla sua nave il governo francese aveva rifiutato l’attracco.  Lo ha raccontato la stessa Rackete, intervistata dal giornale francese Le Nouvel Observateur. “Avevamo contattato il porto di Marsiglia per sapere se potevamo attraccare. La richiesta è stata inoltrata al prefetto, fino al Presidente della Repubblica. Ma nessuno ci ha risposto”. Lo hanno confermato anche due mail inviate a quel Mccr di Roma che coordina i soccorsi nel Mediterraneo. “Ho inviato numerose richieste di POS a Malta e alla Francia e ho provato a coinvolgere gli Stati di bandiera nel coordinamento del POS. Finora nessun risultato”, scrive la comandante della Sea Watch 3 nella prima email, risalente alle 19,07 del 24 giugno. “Le nostre richieste di POS inoltrate a Malta sono state declinate, quelle inviate alla Francia rimaste senza risposta” è il contenuto della seconda mail, datata alle 22,57 del 25.  “Ipocrisia francese: premiano la comandante tedesca Carola Rackete come fosse un’eroina, ma proprio Parigi non aveva risposto alle sue richieste di aiuto”, ha commentato Matteo Salvini: “i francesi si schierano con una ong che fa politica in Italia e con una persona che ha speronato una motovedetta della Guardia di Finanza mettendo a rischio la vita dei militari italiani, come il più facinoroso dei gilet gialli”.

Questo tipo di polemica non considera in realtà un importante particolare: mentre la non risposta alla richiesta di attracco è responsabilità del governo di Macron, a Parigi è sindaco la socialista Anne Hidalgo, alla testa di una giunta di sinistra di cui fanno parte anche verdi e comunisti. Quindi definire la Francia “ipocrita” per il fatto che il sindaco Hidalgo sull’immigrazione ha una linea diversa da quella del presidente Macron sarebbe esattamente come definire l’Italia “ipocrita” perché sull’immigrazione i sindaci De Magistris, Leoluca Orlando o Lucano hanno una linea molto diversa da quella del ministro dell’Interno Salvini. O definire gli Stati Uniti “ipocriti” per il fatto che sull’immigrazione il sindaco de Blasio ha una linea molto diversa da quella del presidente Trump.

Ricordato però che la medaglia del Comune di Parigi dovrebbe restare fuori dal discorso, non c’è dubbio che di ipocrisia si possa invece parlare per il modo in cui Sibeth Ndiaye, la portavoce del governo Macron, ha attaccato l’Italia per non avere aperto i porti alla Sea Watch 3. È vero: i porti francesi sono troppo a nord per le rotte dei migranti, e solo in caso di chiusura ostinata di attracchi più a sud a qualcuno può venire in testa di rivolgervisi. In compenso però molti degli immigrati che approdano nella Fortezza Europa attraverso Italia, Spagna o Grecia vedono poi proprio nella Francia un Paese dove dirigersi: oltre che nella Germania, nei Paesi Bassi o nei Paesi scandinavi. E proprio per dissuaderli viene messa in campo dal governo di Parigi una politica piuttosto muscolare. Secondo la piattaforma Resoma (Research Social Platform on Migration and asylum), ad esempio, dal 2015 almeno 158 persone in Europa sono state indagate o processate in almeno 49 diversi procedimenti giudiziari per aver fornito assistenza umanitaria a migranti e rifugiati in 11 Paesi europei. Non solo membri delle ong, ma anche comuni cittadini. Solo nel 2018 i procedimenti giudiziari per azioni umanitarie a favore dei migranti sono stati 24 in sette Paesi, coinvolgendo 104 persone: il doppio rispetto al 2017. E questo nonostante gli sbarchi sulle coste italiane e greche fossero intanto diminuiti del 90%. Solo nel primo trimestre del 2019, risultavano aperti 15 casi con 79 persone coinvolte in sei Paesi. E dopo la Grecia con 53 tra indagati e imputati e l’Italia con 38 al terzo posto c’era la Francia, con 31.

Tra questi anche l’italiana Francesca Peirotti, che nel caldo della polemica è stata ribattezzata la “Carola italiana”. Trentenne di Cuneo, residente a Marsiglia, è stata condannata dalla Corte d’Appello di Aix-en- Provence a sei mesi di carcere con la sospensione condizionale della pena per aver aiutato nel 2016 otto migranti ad attraversare il confine di Ventimiglia in furgone.  Sempre nella stessa area, il 13 marzo 2019 sette tra contadini, insegnanti, guide alpine e pensionati riuniti sotto la sigla Roya Citoyenne pochi minuti prima dell’alba avevano ricevuto le perquisizioni della gendarmerie in tenuta antisommossa, subendo più di 24 ore di fermo. Il blitz era stato eseguito con modalità autorizzate dalle nuove leggi antiterrorismo e disposto dal magistrato di Nizza, Alexander Julien, che da mesi indagava su possibili colpevoli di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Tra 2016 e 2017 il gruppo era stato infatti formato per sostenere il passaggio di migranti, spesso minori, che in realtà si trovavano già in territorio francese. Ma si trovavano bloccati tra il confine di Ventimiglia e le strade che dalla Val Roja portano nel resto della Francia, sottoposte a uno stretto controllo. Secondo le informazioni raccolte dalle ong sarebbero più di trenta i corpi senza vita trovati tra il 2016 e il 2018 lungo la frontiera franco-italiana: “senza contare quelli che con tutta probabilità risultano introvabili a causa della morfologia del territorio”. Alla fine, però i sette sono stati tutti rilasciati senza alcun capo di imputazione.

Altri sette, in compenso, erano stati condannati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina il 13 dicembre 2018 a Gap, capoluogo del dipartimento delle Alte Alpi. Benoit Ducos, Lisa Malapert, Théo Buckmaster, Bastien Stauffer e l’italiana Eleonora Laterza a sei mesi con la condizionale; Jean-Luc “Juan” Jalmain e Mathieu Burellier a dodici mesi, di cui otto con la condizionale e quattro da scontare in carcere; Burellier anche a pagare un risarcimento di quasi seimila euro per aggressione a pubblico ufficiale. Il 22 aprile del 2018 i sette avevano organizzato da Claviere a Monginevro una manifestazione di solidarietà con i migranti di cui alcuni stranieri irregolari avevano approfittato per attraversare il confine.

Il 15 giugno 2018 era stato invece un rapporto di Oxfam a denunciare la situazione dei migranti a Ventimiglia, a tre anni dal ripristino dei controlli alla frontiera da parte della Francia. “A lungo donne, bambini e ragazzi soli si sono accampati sul greto del fiume, in condizioni durissime. I recenti sgomberi, disperdendo le persone sul territorio, le hanno rese ancora più vulnerabili. La Francia continua i respingimenti di minori non accompagnati, in palese violazione del diritto europeo e interno. Minori non accompagnati anche di 12 anni continuano a essere vittime di abusi, detenzioni e respingimenti illegali”. Il rapporto denunciava “il fermo dei minori, spesso la loro registrazione come maggiorenni; la falsificazione delle dichiarazioni sulla loro volontà di tornare indietro; la loro detenzione senza acqua, cibo o coperte, senza la possibilità di poter parlare con un tutore legale”. “I ragazzi raccontano anche di essere stati vittime di riprovevoli abusi verbali o fisici: il taglio delle suole delle scarpe, il furto di carte Sim. In molti vengono costretti a tornare fino a Ventimiglia a piedi, lungo una strada priva di marciapiede, con qualunque condizione atmosferica: una giovanissima donna eritrea è stata costretta a farlo sotto il sole cocente, portando in braccio il suo bambino nato da soli 40 giorni”.

Ottobre 2018. La Polizia francese scarica migranti a Claviere, in territorio italiano

Il 13 ottobre 2018 c’è poi un clamoroso episodio di sconfinamento, con un mezzo della Gendarmerie che è fotografato da agenti della Digos mentre fa scendere due africani in una zona boschiva in territorio italiano. Non solo la Procura di Torino apre un fascicolo a carico di ignoti con ipotesi di reato di trasporto illegale di stranieri nel territorio dello Stato, ma rivela indagini anche su due episodi precedenti. Uno del 2 agosto, quando le forze dell’ordine francesi controllano in territorio italiano due cittadini residenti a Claviere, in provincia di Torino, a due chilometri dal confine. Un altro del 30 marzo, quando i doganieri francesi fermano un nigeriano alla stazione di Bardonecchia. Amnesty International a sua volta il 12 e 13 ottobre fa una missione di osservazione in cui denuncia “violazioni sistematiche” dei diritti di rifugiati e migranti al confine franco-italiano. “Il Governo francese la smetta di fare orecchie da mercante”, scrive Amnesty International in un documento pubblicato sul suo sito internet. “Episodio sconcertante”, è il commento di Giuseppe Conte.

Il 14 febbraio 2019 poi alcuni viaggiatori del convoglio partito alle 7 da Ventimiglia e diretto a Nizza riprendono l’intervento di alcuni gendarmi che sfondano la porta di una delle toilette in cui si erano nascosti tre migranti, spruzzando su di loro spray urticante che colpisce anche gli altri viaggiatori.

Barriera con filo spinato nei pressi del porto di Calais per impedire ai migranti di tentare di passare nel Regno Unito

Amministrazione Macron, certamente. Ma anche con Hollande presidente gli episodi muscolari non sono mancati, con Manuel Valls che da ministro dell’Interno nel 2013 ha sgomberato dai campi di alloggio temporanei almeno 10.000 rom: arrivando perfino il 24 settembre a dire in una intervista telefonica che i membri di quella etnia avrebbero dovuto essere espulsi dalla Francia perché non in grado di integrarsi. Poi, da primo ministro, il 26 ottobre sgombera con eguale energia anche la “Giungla di Calais”: un accampamento in cui dal gennaio del 2015 si sono ammucchiate varie migliaia di migranti in attesa dell’occasione per passare in Inghilterra. E prima ancora Sarkozy era diventato presidente appunto grazie alla popolarità acquisita come ministro dell’Interno dalle maniere spicce verso irregolari e clandestini. Ma Sarkozy a sua volta è un tentativo di risposta del gollismo storico alla sfida del Fronte Nazionale: il primo partito che in un grande Paese d’Europa è cresciuto appunto mettendo in testa alla sua agenda la questione immigrazione.

Ma qui bisogna andare alla concezione francese della cittadinanza come si configura con la Rivoluzione del 1789. “Non avendo gli ebrei una patria, la Francia decide di offrirgliene una”, è una famosa formula dell’Assemblea Nazionale che anticipa la concezione sintetizzata da Ernest Renan nell’altra formula secondo cui “la nazione è un plebiscito che si rinnova ogni giorno”. Nel 1871 il nuovo Impero Germanico aveva imposto alla Francia sconfitta di cedere l’Alsazia e la Lorena, di lingua tedesca. Ma i germanofoni alsaziani o lorenesi avevano continuato a eleggere deputati favorevoli al ritorno alla Francia, configurando un paradosso che appunto il nazionalismo tedesco e francese avevano risolto sviluppando due percorsi opposti. Da una parte, l’idea tedesca che la nazionalità è un fatto oggettivo, e che gli alsaziani e lorenesi rimanevano fedeli alla Francia proprio perché “la fedeltà è una virtù tedesca”. Dall’altro l’idea che la nazionalità è invece un dato soggettivo, e che è francese chi si vuole considerare tale. Alsaziani, ebrei, ma anche immigrati di ogni tipo: purché disposti a accettare i “valori repubblicani”.

Anche perché la Francia dopo il salasso di vite delle guerre napoleoniche si era trovata ad avere gravi problemi di decremento demografico, nel XIX secolo è un Paese che incentiva l’immigrazione anche con una politica di generosa concessione di cittadinanza. Però in questo modo anticipa anche alcuni dei problemi di rigetto dell’immigrazione che altrove esploderanno un secolo dopo e oltre: dai linciaggi di immigrati all’antisemitismo. E alla fine la pressione ha iniziato a cambiare qualcosa. Il principio del 1889 era che non solo chi era nato in territorio francese da padre nato in territorio francese era cittadino (doppio ius soli), ma che non poteva rifiutarsi di esserlo, salvo una difficile rinuncia da fare un anno prima della maggiore età: un modo per obbligare i figli degli emigranti a fare comunque il militare per un Paese che si preparava alla rivincita con la Germania.  Nel 1993 un governo di centro-destra stabilì però che l’acquisizione non era automatica, ma richiedeva una domanda. E nel 1998 un governo di sinistra ristabilì l’automaticità, ma a condizione che i due genitori abbiano un permesso di soggiorno e il richiedente abbia risieduto in Francia per almeno cinque anni. Da ricordare che la Francia nel 2014 ha totalizzato ben 87.000 delle 400.000 espulsioni da Paesi Ue.

Peraltro, proprio nella consapevolezza che l’immigrazione era un fenomeno nel caso da governare con mano di ferro in Francia le mesures d’éloignement des étrangers sono istituite fin dal 1849, dando al ministero dell’Interno il potere di espellere sia i clandestini sia gli stranieri regolari, per ragioni di ordine pubblico. Attualmente ci sono varie misure: dall’obbligo a lasciare il territorio francese all’accompagnamento alla frontiera, all’espulsione, all’estradizione, a un allontanamento speciale per i cittadini di Paesi vicini sorpresi a pescare di frodo in Guyana Francese. Se lo straniero è arrivato in Francia senza permesso o richiedente asilo è messo in zona d’attesa, per un massimo di 20 giorni. Se è stato colpito da misura di allontanamento mentre stava in Francia è posto su decisione del prefetto in un centro di detenzione amministrativa, o in carcere, o in residenza obbligata fino a 45 giorni: fino a 18 mesi se ci sono accuse di terrorismo. Se ha commesso un’infrazione alla legislazione sugli stranieri dovrà scontare una pena in carcere prima di essere espulso.

In Francia soggiornare irregolarmente sul territorio nazionale costituisce infatti un reato, punibile con fino a un anno di prigione, 3750 Euro di multa e 3 anni di interdizione dal territorio. Il 6% dei detenuti nelle carceri francesi è costituito da stranieri condannati per il reato di immigrazione clandestina, contro il 23% di stranieri condannati per altri reati e il 71% di francesi. Per avere la proporzione: gli stranieri rappresentano il 6,5% dei residenti. “Sarà più complicato arrivare in Francia, sarà più difficile rimanerci, sarà più sbrigativo venirne allontanati”, disse Sarkozy quando da ministro dell’Interno introdusse la nuova legge che stabilì un permesso di soggiorno valido tre anni e rinnovabile per i diplomati, e di quattro per gli studenti stranieri. Per tutti gli altri immigrati sono previsti vari titoli di soggiorno, sempre a durata limitata. Ma ci sono anche misure restrittive per le regolarizzazioni degli immigrati già presenti sul territorio francese, sui matrimoni misti e sui ricongiungimenti familiari, con l’obiettivo di escludere aspettative di sanatoria, stroncare il fenomeno diffuso di matrimoni finti e ridurre situazioni di coabitazione, poligamia e sovraffollamento provocate da ricongiungimenti familiari incontrollati. L’immigrato deve inoltre dar prova di essere un buon cittadino francese. “Chi non ama la Francia se ne può andare” “La nostra politica vuole essere ferma e umana. Credo che si debbano espellere gli stranieri in situazione irregolare, ma che sia necessario rafforzare i diritti di chi è in situazione legale. Lo straniero dovrà essere protetto da ogni forma di discriminazione e in cambio assumerà impegni verso la società francese”.

Il modello Sarkozy propone il diritto di voto alle amministrative per gli immigrati regolari, ma stabilisce che per far venire la famiglia un immigrato legale deve avere un reddito minimo “indicizzato” sull’entità della famiglia equivalente o 1,2 volte lo Smic, il salario minimo, esclusi gli assegni familiari. Moglie e figli devono poi passare un esame sul “grado di conoscenza della lingua e dei valori francesi”. Se non parlano abbastanza bene francese, devono seguire corsi obbligatori e a pagamento in patria, “per una durata massima di due mesi”, prima di poter chiedere un visto di lungo soggiorno. Chi supera l’esame di francese e sui valori deve poi firmare un “contratto di accoglienza e di integrazione per la famiglia”, che obbliga i genitori a vegliare sulla “buona integrazione dei figli appena arrivati in Francia”. E “in caso di non rispetto manifesto del contratto il prefetto sporgerà denuncia a un giudice dei minorenni” che può decidere di togliere alla famiglia gli assegni familiari. Ogni anno il governo informa il parlamento francese sul numero delle espulsioni, comunicando anche degli “indicatori di integrazione”. Per chi vuole rientrare nel Paese natale, ci sono soldi in “aiuto al ritorno”. Ma chi accetta di andarsene è schedato in un archivio che conserva impronte digitali e fotografie, per evitare le frodi o un ritorno illegale in Francia.

Maurizio Stefanini

Seconda puntata dell’inchiesta di Maurizio Stefanini sulla politica dell’immigrazione nei vari paesi europei. Dopo la Spagna, la Francia.

Maurizio Stefanini

Giornalista dal 1988. Free lance impenitente. Attualmente collabora con Il Foglio, Lettera43, Libero, Bio's, Longitude, Babilon. Di formazione liberale classica, corretta da radici contadine e da un’intensa...

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