Cosa è accaduto nella Ducea dopo la repressione della rivolta popolare dell’agosto 1860?

Nel 1861, costituitosi il Regno d’Italia, il Governo italiano impugnò il testamento fatto dall’ammiraglio Nelson nel 1803 perché la feudalità era stata già abolita dalla Costituzione borbonica del 1812 e perché la Legge Salica, emanata da Clodoveo I, Re dei Franchi Salii nel 503, che si doveva applicare nella successione della Ducea secondo il Real Diploma 10 ottobre 1799, escludeva le donne dalla successione al trono e nei feudi e quindi escludeva dalla successione alla Ducea Charlotte Mary, figlia del fratello di Orazio Nelson, William.

Il contenzioso giuridico fu definito solo nel 1922 con la vittoria degli inglesi, quando era Duca di Bronte il nipote di Charlotte Mary, Alexander II Nelson- Hood.

Il 3 giugno 1861 il dott. Antonino Cimbali, Delegato di Pubblica Sicurezza di Bronte dal 28 settembre 1860, riuscì a fare, presso il notaio Giuseppe Gatto di Bronte, una transazione tra il Consiglio Comunale di Bronte, nonostante l’opposizione dell’ex Sindaco Luigi Saitta e dei fratelli Carmelo e Silvestro Minissale (tutti coinvolti nella rivolta popolare dell’agosto 1860 ma non rinviati a giudizio), e l’amministratore della Ducea, Guglielmo Thovez. Si opposero anche gli avvocati del Comune che vivevano con i compensi che percepivano con le controversie secolari con la Ducea.

Con la transazione, la Ducea cedette al Comune di Bronte alcune migliaia di ettari, che però erano per la metà terreno lavico improduttivo, conservando comunque la proprietà di circa 7.00 ettari, tutti fertili. Inoltre fu concesso il transito ai contadini sulle trazzere n. 1,n. 3 e n. 4.

L’anno seguente, una Commissione di ingegneri, appositamente nominata dal Comune, procedette alla divisione delle terre acquisite dalla Ducea tra i Brontesi poveri. Però dopo qualche anno, la maggior parte dei terreni assegnati furono abbandonati perché avevano una superficie modesta e quindi non erano in grado di sfamare una famiglia. Inoltre, molte terre assegnate erano ubicate in zone inadatte alla coltivazione e distanti dal paese.

Intanto le zone boschive della Ducea venivano tagliate per vendere il legname ed il carbone e per metterci i vigneti. Invece i terreni seminativi ed a pascolo venivano concessi ‘a gabella’ (affittati), per un periodo rispettivamente di 6 o di 3 anni, dietro il pagamento di un canone annuo, a borghesi ed a nobili locali, i quali poi li cedevano in ‘sub gabella’ (subaffitto) a coloni locali. L’amministratore Guglielmo Thovez concesse ‘a gabella’ alcuni terreni al fratello Francis.

Con le leggi del Regno d’Italia del 1866 e del 1867 sull’esproprio dei beni ecclesiastici, i beni della Ducea già appartenenti all’Abbazia di S. Maria di Maniace furono incamerati dallo Stato italiano e la Ducea fu obbligata a pagare un canone annuo al Fondo per il Culto. Naturalmente, i Nelson presentarono ricorso per non pagare il canone, sostenendo una lunga vertenza, che si concluse nel 1900 quando la Corte di Appello di Catania confermò il pagamento del canone. La decisione fu ratificata nel 1901 dalla Corte di Cassazione.

Per sostenere le controversie davanti ai vari Tribunali, la Ducea aveva assunto molti avvocati. Nel 1924 erano ben 10: cinque a Catania, due a Palermo, uno a Messina, uno a Roma, uno a Tortorici. Inoltre, aveva alle proprie dipendenze un notaio a Bronte.

Già nel febbraio 1854 il Re Ferdinando II di Borbone, con un Real Rescritto nominò il dott. Carmelo Martorana, Presidente della Gran Corte Civile di Catania, arbitro di tutte le vertenze giudiziarie tra la Ducea, retta dalla duchessa Charlotte Mary Nelson, figlia di William, fratello dell’ammiraglio Nelson, ed il Comune di Bronte, con il potere di emettere un giudizio definitivo ed inappellabile. L’arbitrato si protrasse a lungo, senza alcun risultato. Intanto, nel 1856 Martorana fu promosso Presidente della Gran Corte Civile di Palermo ed il 17 febbraio 1859 emise una sentenza favorevole alla Ducea, che conservava il diritti di legnatico e di pascolo. Questa decisione contribuì certamente allo scoppio della rivolta nell’agosto 1860. Martorana non ricevette alcun compenso per la sua attività arbitrale dalla Ducea, che fu chiamata in giudizio dagli eredi Martorana. Il contenzioso si protrasse fino al 31 luglio 1876 quando fu fatta una transazione, in base alla quale la Ducea dovette pagare 1.340 lire agli eredi Martorana

Nel 1891 il Duca Alexander I fece chiudere con una spranga ed una catena di ferro il sentiero che passava davanti alla residenza ducale (il Castello di Maniace) e che era usato dai contadini per raggiungere le trazzere n. 1, n.3 e n. 4 (cedute al Comune con la transazione del 1 giugno 1861) ed i terreni comunali ubicati oltre il torrente Saraceno. Il Sindaco ingiunse al Duca di rimuovere la spranga e la catena di ferro per ristabilire il passaggio sul sentiero, ma siccome il Duca non ottemperò all’ordinanza, il Sindaco fece rimuovere la spranga e la catena di ferro.

Nel 1894 l’On. Francesco Cimbali presentò una interrogazione alla Camera dei Deputati in merito alle lungaggini ed “agli atti di vero servilismo” compiuti dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Catania a favore della Ducea ed a danno del Comune di Bronte. In particolare, lamentava le “gravi ed estese usurpazioni di pubbliche strade rurali consumate dal Duca Nelson nel Comune di Bronte” . Al riguardo, i Nelson- Hood pretendevano il pagamento del pedaggio per transitare sul ponte di legno che avevano costruito sul torrente Saraceno. Avevano anche chiesto 400.000 lire per la vendita al Comune di Bronte della sorgente di Maniace, che fu poi acquistata dallo Stato italiano nel 1927.

Inoltre i Nelson non facevano nulla a favore dei Brontesi; anzi assumevano per le varie attività di coltivazione dei terreni i contadini di Tortorici (Messina).

L’unico Duca che fece qualcosa a favore dei Brontesi poveri fu Alexander I (Duca dal 1873 al 1904) che nel mese di marzo di ogni anno faceva una distribuzione di pane, di cui beneficiavano un migliaio di persone.

Questo comportamento dei Nelson-Hood dimostra la loro lontananza dalle usanze dei nobili inglesi, che nelle loro Contee promuovono il bene cittadino, costruendo strade, scuole, ospedali e teatri, ritenendo che il loro titolo di conte o visconte fosse inseparabile dal dovere di ‘fare del bene’ agli abitanti della loro Contea. Purtroppo, i Nelson non hanno fatto nulla di questo e quindi hanno perso l’opportunità di scrivere il loro nome tra i benefattori di Bronte.

Questi comportamenti alimentarono in passato la rabbia dei Brontesi contro i Nelson, che si espresse nella rivolta popolare del 2-4 agosto1860.

Alla fine del 1909, vari Brontesi presentarono un ricorso alla Giunta Provinciale Amministrativa contro la nuova transazione con il Duca Nelson-Hood, votata dal Consiglio comunale di Bronte il 15 novembre, nella quale era scritto: “Il popolo di Bronte …nutre verso il Duca Nelson un senso di giusto odio e rancore, che si è andato accumulando nel tempo, per i tanti soprusi e le tante prepotenze perpetrate dal Nelson contro tanta povera gente“, sostenendo varie liti giudiziarie grazie alle sue abbondanti risorse finanziarie. Pertanto, ” il popolo di Bronte, che conosce ed esecra le infinite usurpazioni che la Ducea ha sempre commesso in danno del Comune di Bronte…attende con calma la decisione ” ed auspica che ” non sia disilluso nella fiducia che la giustizia sia fatta“. Naturalmente, anche questa volta il Comune non ottenne giustizia.

Il 2 gennaio 1940 il Ministro fascista dell’Agricoltura Giuseppe Tassinari, nell’ambito del progetto di abolire il latifondo siciliano, decise l’esproprio dei terreni della Ducea Nelson, che però non fu attuato a causa della guerra.

Dopo l’entrata in guerra dell’Italia contro la Francia e l’Inghilterra (10 giugno 1940), con il Decreto del 10 luglio furono confiscati tutti i beni appartenenti a “persone di nazionalità nemica” e quindi anche la Ducea fu confiscata in quanto i Nelson-Hood erano inglesi.

I beni della Ducea, amministrata dal Dott. Luigi Modica, furono affidati all’Ente gestini e liquidazioni immobiliari, con sede a Roma. In seguito i beni confiscati passarono all’Ente di colonizzazione del latifondo siciliano, che negli anni seguenti assegnò le terre ai contadini poveri e fece costruire 14 Borghi Rurali. Uno di questi, costruito nel parco vicino alla residenza ducale, fu denominato ‘Borgo Caracciolo’ in ricordo dell’ammiraglio napoletano Francesco Caracciolo, uno degli eroi della Repubblica partenopea del 1799, fatto impiccare da Orazio Nelson.

Nell’agosto 1943, dopo lo sbarco in Sicilia del 10 luglio, gli angloamericani presero possesso del Castello di Maniace, stabilendovi il loro Comando territoriale.

Il 25 febbraio 1944 la Ducea tornò agli eredi Nelson-Hood.

Nel 1950, in imminenza dell’approvazione della riforma agraria da parte della Regione Siciliana, sostenuta con forza dai braccianti agricoli con manifestazioni e con l’occupazione dei latifondi, il Duca iniziò a vendere appezzamenti di terreni ai propri coloni, peraltro a prezzi non di favore, dicendo loro che i terreni sarebbero stati espropriati ed assegnati ad altri contadini. In questo modo, i coloni furono costretti, per non lasciare i terreni che coltivavano ‘a gabella’ o in ‘sub gabella’ da tanti anni, a comprarli entro il 27 dicembre 1950, e molti si indebitarono fino all’inverosimile con gli usurai al tasso dal 35% al 50% annuo, pur di restare sulle terre da loro coltivate.

Il prezzo doveva essere pagato in 5 anni e se non si pagava una rata, la Ducea avrebbe ripreso il terreno.

Negli anni seguenti in seguito alla approvazione della Riforma agraria furono espropriati circa 4.000 ettari su un totale di circa 6.500.

Nel 1952 Carlo Levi (scrittore, pittore ed antifascista appartenente a ‘Giustizia e Libertà’, già inviato al confine in un piccolo paese della Basilicata), nel corso di un viaggio di tre giorni in Sicilia, visitò la Ducea accompagnato da Michele Pantaleone, scrittore e storico del fenomeno mafioso. Sul suo viaggio in Sicilia e sulla visita alla Ducea, Levi scrisse dei reportage sulle misere condizioni dei contadini, che furono pubblicati nel libro Le parole sono pietre, pubblicato nel 1955 dall’Editore Einaudi di Torino.

In particolareCarlo Levi visitò vari ‘cortili’ (gli ‘slarghi’ intorno ai quali erano costruite delle catapecchie). Le donne lo invitarono ad entrare nelle case-capanne, con il tetto di canne e senza finestre, dove vivevano molte persone, anche 10 e 12. Peraltro per questi tuguri si doveva pagare un affitto salato (500 lire al mese) oppure, se si era proprietari, una esosa tassa sui rifiuti (anche di 1.500 lire l’anno). Fuori del paese c’erano i ‘pagliari’, piccole costruzioni di paglia a forma di cono, con una porticina bassa per cui ci si doveva inchinare per entrarci.

Levi affermò che “l’origine delle miserie dei braccianti è la Ducea”, che è l’esempio del “più assurdo anacronismo storico e della presenza di un perduto mondo feudale e dei difficili tentativi dei contadini per esistere come uomini”.

Partì da Bronte profondamente “turbato“.

Levi non risparmiò dure critiche a Nino Bixio, inviato da Garibaldi a Bronte “per rimettere ordine…Bixio fu feroce. Con una parvenza di processo fucilò immediatamente i capi della rivolta, fra cui l’avv. Nicolò Lombardo, un liberale che aveva già guidato in Bronte i moti del 1848″.

Il Duca di Bronte ritenne diffamatorie alcune affermazioni di Levi e nel 1957 fece di tutto per impedire la pubblicazione del libro in inglese.

Negli anni 1963-1965 altri terreni della Ducea furono espropriati ed assegnati ai contadini nullatenenti di Bronte e degli altri Comuni limitrofi per cui la estensione della Ducea si ridusse a poche centinaia di ettari.

Nel 1964 fu distrutto il Borgo Caracciolo.

Finalmente iI 4 settembre 1981 la residenza ducale (il Castello) ed i terreni residui della Ducea furono acquisiti dal Comune di Bronte con un finanziamento della Regione Siciliana di un miliardo e 750 milioni di lire. Però, l’ultimo Duca di Bronte, Alexander III, conservò il titolo nobiliare di Duca, da trasmettere agli eredi.

Negli anni novanta il Castello è stato ristrutturato ed adibito a museo ed a centro conferenze.

Nel 1991 visitò Bronte il giornalista, scrittore e partigiano antifascista Giorgio Bocca, che raccolse le sue impressioni nel libro L’inferno, profondo sud male oscuro, pubblicato nel 1992 dall’Editore Mondadori di Milano. In particolare scrisse, con parole molto dure, che la repressione della rivolta dell’agosto 1860 fu “un freddo calcolo politico dei garibaldini… La Ducea Nelson era proprietà degli inglesi e … senza gli inglesi Garibaldi non sarebbe sbarcato a Marsala e forse non ci sarebbe stato il Risorgimento”.

Bocca attaccò Nino Bixio riportando un passo della lettera inviata da lui al Commissario di Polizia di Cesarò, nella quale scrisse, in riferimento alla repressione della rivolta popolare di Bronte: “Era necessario un esempio e lo hanno avuto tremendo…la sentenza fu del tribunale militare, io non potei intercedere”. Naturalmente Bixio non dice la verità perché la condanna esemplare degli imputati fu richiesta da lui alla Commissione Mista Eccezionale di Guerra la mattina del 9 agosto, poco prima dell’inizio del processo.

Bocca ha avuto anche parole molto dure verso Garibaldi, riportando nel suo libro il seguente brano di una canzone diffusa dai cantastorie dopo i ‘fatti di Bronte’: “Garibaldo, Garibaldo, perché hai promesso la terra ai contadini e poi li hai fatti fucilare?“. 

Giorgio Giannini

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