Dieci giorni prima della fine del 2018, il nuovo aereo Gulfstream da 60 milioni di dollari di proprietà di We Work decollò da un piccolo aereoporto a nord di New York diretto a Kauai un isola delle Hawai. A bordo vi era Adam Neumann il cofondatore di We Work. Meno di dieci anni prima insieme al suo amico Miguel McKelvey aveva deciso di trasformare dei noiosi uffici in comunità per imprenditori innovativi.

E l’idea si è sviluppata in modo consistente. A New York We work è diventato il maggior inquilino di spazi ad uso ufficio (superando JPMorgan) e a Londra il secondo dopo il Governo Inglese.

Il modello di business era molto semplice, affittava edifici con contratti di lungo periodo, li trasformava e li riaffittava con contratti di breve periodo a start -ups in cerca di flessibilità. Uffici dotati di flipper, stanze per la meditazione e corner di birra alla spina, non solo apparivano visivamente diversi dai classici uffici ma offrivano un luogo fisico ai social network della….. generazione di millennials.

La visione di Neumann era quella di creare una nuova cultura del luogo di lavoro in ogni parte del mondo.

Lo slogan era “siamo qui per cambiare il mondo….niente meno di questo mi può interessare”.

A 39 anni Neumann era miliardario (in dollari) questo grazie in particolare a una sola persona, Masayoshy Son un giapponese-coreano che ha fatto e perso una fortuna investendo con la sua SoftBank’s nelle aziende internet e che ha fatto importanti investimenti nelle icone tecnologiche come Alibaba e Uber.

Masayoshy Son in soli 28 minuti di colloquio con Adam Neumann decise di investire in We Work. Nel 2017 Sotfbank tramite il Vision Fund ha investito in We Work 4,4 miliardi di dollari sulla base di una valutazione complessiva di We Work di 20 miliardi di dollari. Nel 2018, Softbank ha investito ulteriori 4,25 miliardi di dollari, il tutto per una società che aveva sempre e solo registrato perdite.

Un anno dopo il Gulfstream era in vendita, Mark Neumann via dalla società e We Work con soldi sufficienti a garantire solo due settimane di attività. We Work cercò di ottenere un prestito da una banca e dopo molte ricerche trovò solo JP Morgan disposta ad erogare un prestito di 6 miliardi di dollari ma a condizione che la società si quotasse e raccogliesse almeno 3 miliardi di dollari. Il 14 agosto il filing per la quotazione venne presentato alla SEC. A metà settembre The Wall Street Journal pubblicò un articolo che evidenziava alcune delle abitudini di Neumann, quali fumare marijuana. I potenziali investitori richiesero quindi come precondizione all’investimento una riforma della Governance. Il 22 settembre Neumann in un colloquio con il Ceo di JP Morgan annuncia che è disponibile a dimettersi, ma non è sufficiente, in una settimana il tentativo di quotazione viene meno.

Softbank si offre di salvarla a condizione che Neumann ceda le sue azioni e per Wework e il suo fondatore non ci sono alternative.

We Work si è sviluppata sull’onda degli effetti della crisi economica con molti immobili ad uso ufficio di ottima qualità vuoti ed una elevato numero di lavoratori che espulsi dalle grandi imprese si sono reinventati come “lavoratori autonomi”. A contribuire alla crescita la disponibilità di denaro a bassi costi per effetto dei tassi d’interesse bassi e la continua ricerca di rendimenti da parte dei gestori di fondi ossessionati dalla paura di perdere “l’opportunità del nuovo unicorno”.

Giovanni Maria Paviera


Con questo articolo, l’autore prosegue la sua inchiesta sulla bolla legata al mondo delle società digitali.

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