L’Italia è un Paese di misteri irrisolti, segreti inconfessabili e storie dimenticate o nascoste. Fra i misteri vi è senza dubbio la storia di alcune borse, contenenti importanti documenti per la politica italiana, che scomparvero per sempre o per alcuni giorni o per qualche ora. Si pensi innanzitutto a Giacomo Matteotti. Quando venne rapito e assassinato da una squadraccia della CEKA, la polizia politica fascista composta in prevalenza da criminali, aveva con sé una borsa piena di documenti di cui non si seppe più nulla.

Mussolini e l’affare Sinclair Oil

Secondo lo storico Mauro Canali, autore di approfondite ricerche contenute nel libro “Il delitto Matteotti. Affarismo e politica nel primo governo Mussolini”, essa avrebbe potuto contenere carte scottanti. Innanzitutto, le prove con le quali il deputato socialista sarebbe stato in grado di dimostrare la corruzione di Mussolini e di alcuni membri del governo da parte della compagnia petrolifera statunitense Sinclair Oil, che aveva ottenuto una concessione in esclusiva per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi italiani. Inoltre, le prove del traffico dei residuati bellici che si erano accumulati nei magazzini dello Stato dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Il materiale rimasto sarebbe stato svenduto a prezzi irrisori ad imprenditori vicini al regime in cambio di tangenti per finanziare il Partito Fascista, i giornali fiancheggiatori del regime e favorire l’arricchimento personale dei gerarchi. Matteotti, che aveva già denunciato in Parlamento le violenze e i brogli elettorali fascisti nel suo celebre discorso, stava per far esplodere questi scandali che avrebbero potuto far cadere il governo.

Carteggi, borse e borsellini

Vent’anni dopo, la parabola di Mussolini si concluse con un’altra misteriosa vicenda di borse. Anche il Duce infatti aveva con sé, al momento della sua cattura, due borse. Una la teneva lui e l’altra il suo segretario Vito Casalinuovo. Una terza borsa era nelle mani di Marcello Petacci, il fratello di Claretta. Quella che custodiva il Duce, in particolare, al momento del sequestro operato dal comandante partigiano “Pedro”, Pier Bellini delle Stelle, conteneva, secondo l’inventario che fu redatto, 160 sterline d’oro, assegni per 700 mila lire, alcuni fascicoli dei quali vennero indicate solo le intestazioni (Varie – Umberto di Savoia – Processo di Verona – Carteggio Mussolini Hitler). La borsa, al cui contenuto venne aggiunto quello della borsa di Casalinuovo, passò in varie mani, attraverso spostamenti di cui esistono plurime versioni. Transitò dai Partigiani ai funzionari di Banca e della Questura che si occuparono della sua custodia, dai Servizi Segreti Alleati ai rappresentanti del Governo Italiano.

Finì poi dimenticata nell’Archivio di Stato con quello che restava del suo contenuto e senza il fascicolo su Umberto di Savoia. Della borsa sequestrata a Marcello Petacci si persero le tracce. Dopo la guerra saltò fuori copia di un presunto carteggio fra Mussolini e Churchill (insieme ad altra corrispondenza) che sarebbe stato tolto dalle borse e che venne pubblicato in parte su alcuni giornali. Come ha dimostrato ampiamente Mimmo Franzinelli nel suo libro “L’arma segreta del Duce. La verità del carteggio Churchill Mussolini”, il carteggio è falso. Si trattò di un’operazione di falsificazione della storia proveniente da ambienti neofascisti per rivalutare la figura del Duce e condizionare la memoria collettiva degli Italiani. Secondo lo storico Eugenio Di Rienzo, tuttavia, è plausibile ipotizzare che le borse contenessero documenti comunque importanti per gli Alleati.

Quei carteggi risultati falsi…

Questo giustificherebbe la presenza, sui luoghi e nelle ore della morte di Mussolini, di uomini dell’Intelligence britannica e statunitense che sarebbero stati attivi anche negli anni successivi. Vale la pena evidenziare che, se anche vi fosse qualcosa di vero in quest’ultima ipotesi, da accertare per amore della verità storica, ciò non sminuirebbe la causa degli Alleati, né attenuerebbe in alcun modo la responsabilità criminale di Mussolini per la guerra a fianco di Hitler che causò al nostro Paese quasi 500.000 morti e la perdita della piena sovranità.

La Borsa di Aldo Moro che fine ha fatto?

Qualche decennio più tardi, si ebbe un’altra vicenda misteriosa, quella delle borse di Aldo Moro al momento del suo rapimento. Secondo la versione dei suoi familiari, infatti, il politico democristiano aveva con sé cinque borse, fra le quali, in particolare, ve ne erano due (una marrone e una 24 ore) contenenti preziosi documenti. Esiste una fotografia dell’auto di Moro, scattata un’ora dopo il rapimento e ritrovata negli anni seguenti, nella quale si possono vedere le due borse e vi è un rapporto della polizia scientifica che ne attesta la presenza. Quando l’auto di Moro venne portata nel cortile della Questura le due borse erano scomparse, per sempre. Gli inquirenti dissero poi alla famiglia che le borse non erano nell’auto e i brigatisti affermarono misteriosamente di averle prese loro.

Mani Pulite, Capaci, Via D’Amelio le storie si intrecciano

La tragica fine di Moro presenta un’infinità di lati oscuri, come evidenziato nelle varie inchieste giudiziarie, parlamentari e giornalistiche che si sono succedute nei decenni. Inchieste che hanno fatto supporre l’intervento nella vicenda di apparati deviati dello Stato e di Intelligence di vari Stati stranieri. Ricordiamo che i fatti devono essere anche inquadrati all’interno della logica di “Yalta”, cioè della divisione dell’Europa in due sfere di influenza, americana e sovietica. Una situazione nella quale, l’Italia, come nazione sconfitta, era un Paese a sovranità limitata. Moro fu un esponente della Prima Repubblica, che terminò non solo con l’inchiesta giudiziaria di “Mani pulite”, ma anche con le stragi di Capaci, Via D’Amelio, e gli attentati di Firenze, Roma e Milano.

Un Paese di misteri e di borse scomparse

Avvenimenti di cui non si conoscono ancora con certezza le finalità. In particolare, l’attentato nel quale perse la vita Paolo Borsellino presenta nuovamente inquietanti retroscena. Il magistrato, infatti, aveva con sé una borsa che i familiari sono sicuri contenesse un’agenda di colore rosso, nella quale aveva annotato importanti informazioni sulle indagini che stava conducendo. Soprattutto dopo la morte di Giovanni Falcone. Indagini che avrebbero potuto rivelare alcuni segreti della nostra storia recente. Dopo l’esplosione della bomba, la borsa venne estratta integra dall’auto del magistrato da uomini dello stato che non ricordano con precisione la dinamica dei fatti. Sugli spostamenti della borsa esistono addirittura varie e contraddittorie versioni. Il risultato fu che quando la borsa riapparve e giunse finalmente in Questura, l’agenda rossa era sparita, e con essa i suoi segreti. Come spesso accade nella storia d’Italia. Un Paese di misteri e di borse scomparse.

Lorenzo Bianchi

Lorenzo Bianchi

Avvocato, studioso di Storia e di Diritto Umanitario con particolare interesse per il Diritto Internazionale dei Conflitti Armati.

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