La recente modifica dell’art. 9 della Carta costituzionale ha determinato il riconoscimento dell’ambiente come oggetto di tutela da parte dello Stato, a fianco del paesaggio e del patrimonio artistico e culturale. Non è questa la sede per parlare di questa modifica costituzionale. Una modifica che però sollecita una riflessione in un ambito del tutto diverso. Come sono oggi i rapporti tra arte e ambiente? La sensibilità ambientale, riemersa con forza nelle nuove generazioni e sollecitata dai gravi fenomeni prodotti dal climate change, trova spazio nelle ricerche dell’arte contemporanea?

Land Art cartina al tornasole per il climate change

Anche in questa prospettiva, il tema è gigantesco e trova infinite declinazioni in un panorama variegato e globale come quello della creatività di oggi.
In queste poche righe si può dire che molto è cambiato anche rispetto alla ricerche delle avanguardie del recente passato. Per prime le avanguardie si sono poste il tema dell’arte nella natura e della natura come soggetto della ricerca artistica, e non più come oggetto di mera rappresentazione.

Prendiamo ad esempio una delle opere più iconiche della “land art”. Quella importante corrente artistica che tra fine anni ‘60 e anni ‘70 si proponeva di utilizzare proprio gli elementi naturali ad un tempo come strumenti e teatro della sperimentazione artistica. La “Spiral Jetty” di Robert Smithson è senza dubbio uno dei lavori che più identifica la land art e che viene sempre citato e riprodotto in tutti i libri sulla storia dell’arte del XX secolo.

Tonnellate di materiali e detriti per realizzare un’opera d’arte

Questa spirale che si estende nel mare, ne modifica il paesaggio e in qualche modo ne cattura la forza primigenia, rappresenta un’immagine che comunica ricerca d’avanguardia e poesia. E invece qualche tempo fa ho avuto modo di vedere il video girato da Smithson e dai suoi collaboratori durante i lavori di realizzazione. Un vero e proprio choc per me. Ruspe enormi, camion carichi di detriti spostati con tecniche da cava di inerti, rumore fortissimo e polvere. Tutto il contrario di un intervento rispettoso della natura, realizzato in un momento storico (1970), in cui certamente non vi erano ancora le sensibilità di oggi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Considerazioni analoghe, anche se meno clamorose, si potrebbero fare anche per i primi lavori di uno dei più importanti ed influenti artisti italiani, Giuseppe Penone. Nei suoi anni di ricerca giovanile Penone interveniva sugli alberi dei boschi delle Alpi piemontesi, stringendone i giovani tronchi con le sue mani fuse nel bronzo. Un intervento artistico che ebbe il grande merito, come molte altre prove dell’Arte povera, di spostare sia il modo che il luogo di fare arte, rispetto a tutte le esperienze precedenti. Ma che, guardato con gli occhi di oggi, può apparire ancora ispirato ad un rapporto con la natura dominato da un approccio antropocentrico.

Gli artisti camminatori molto attenti all’ambiente

Già con gli anni ‘70, alcuni artisti appartenenti alla land art assunsero un approccio diverso e più ecocompatibile. Si pensi agli “artisti camminatori”, come gli inglesi Richard Long e Hamish Fulton. I loro interventi nella natura sono caratterizzati da immersione nell’ambiente, da reversibilità, da prelievi di materiali non deturpanti, da documentazione fotografica e grafica.
Da allora molti artisti si sono cimentati con la natura e con le crisi ambientali, soprattutto nei paesi del terzo mondo. Ma non si riesce ad identificare una linea precisa, né tanto meno una costante significativa presenza nelle mostre e nel mercato dell’arte.

Art Basel ritorna agli schemi tradizionali

Lo spazio per queste tematiche e per queste pratiche artistiche è apparso anche assai limitato nella kermesse di Art Basel. La più importante fiera di arte moderna e contemporanea al mondo è finalmente tornata agli antichi splendori dopo due anni di grandi difficoltà per la pandemia. Dovendo cercare di fare fronte a un momento molto complicato per il mercato, per le molte preoccupazioni legate alla guerra, alla ripresa dell’inflazione e al rischio di una recessione globale, la fiera è sembrata ripiegarsi sui valori più consolidati, in una prospettiva di maggiore sicurezza per acquirenti e venditori, lasciando poco spazio a ricerche formali e tematiche più di avanguardia.

Parco Arte Vivente di Torino esempio virtuoso

L’arte più attenta all’ambiente va dunque ricercata in altri contesti, meno legati al mercato. Un esempio virtuoso è rappresentato dal PAV (Parco Arte Vivente) di Torino, Centro sperimentale d’arte contemporanea, concepito dall’artista Piero Gilardi e diretto da Enrico Bonanate. La sua missione fondamentale è proprio il dialogo tra arte e natura, biotecnologie ed ecologia.

Mentre il suo fondatore, dopo anni di lavoro artistico e di militanza, vede le proprie opere pubblicate in prima pagina nel supplemento culturale del New York Times, al PAV si può visitare la retrospettiva di Elena Mazzi (Reggio Emilia, 1984), titolata “Di rame, cera, ferro, glicini e ghiaccio” e curata da Marco Scotini.

Di rame, cera, ferro, glicini e ghiaccio: la retrospettiva di Elena

La mostra ripercorre dieci anni di lavoro di questa artista italiana, recente vincitrice dell’Italian Council e con un importante curriculum di presenze in sedi istituzionali. La ricerca di Elena Mazzi rappresenta un esempio paradigmatico di come una artista di oggi possa intervenire nella società, con solide basi teoriche. Ricerche sul campo, condivisione con le comunità locali, e una restituzione finale in cui la profondità delle indagini e delle esperienze viene trasfigurata in una creazione artistica. Una creazione che ha la non comune capacità di coniugare i temi trattati con una straordinaria qualità estetica. Al PAV di Torino fino al 23 ottobre 2022.

Riccardo Montanaro

Riccardo Montanaro

Libero professionista Servizi legali - Studio legale Montanaro e Associati.

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