“…la terra più rossa / quella che era costata più vite / ed un corpo in cui solo le ossa / circondassero ormai le ferite…”.

Scendendo da Gorizia verso Trieste verso il mare si costeggia l’Isonzo con le sue acque cristalline. In vista delle pendici del Monte San Michele si passa a Peteano. Sulla sinistra della carreggiata un ricordo della strage di Peteano di fine maggio 1972, uno degli episodi più controversi e dimenticati, normalmente ricondotto alla Strategia della tensione.

Prima di salire suggerisco due passi a Gradisca, bella cittadina al di là del fiume. Atmosfera ordinata e rilassata, un bicchiere di bianco del Collio, uno qualsiasi. Qui il vino è tutto buono. Prendere fiato e poi salire. Poggio Terza Armata, la stradina sale. Il Monte San Michele non raggiunge i 300 metri di altezza e con i nostri occhi di oggi sembra impossibile che abbia costituito un baluardo insormontato dagli attacchi continui delle nostre Armate che – per citare efficaci espressioni – si infrangevano come onde sugli scogli, che si spegnevano come cerini al vento sotto gli implacabili colpi delle mitragliatrici e delle artiglierie austroungariche.

È questa la zona del fronte più continuo, statico e incandescente. Questa la zona in cui lo scontro è stato più duro e permanente. È questa la zona in cui si sono concentrate le prime sei grandi battaglie dell’Isonzo. Dovevano essere sei spallate, ma solo l’ultima ha sortito un effetto apprezzabile con la presa di Gorizia, lassù, una manciata di chilometri a nord. Ma qui ogni metro è stato conteso, ogni trincea è stata conquistata, persa e riconquistata. Qui i soldati di entrambi gli schieramenti sono caduti a centinaia di migliaia. Innumerevoli sono rimasti i militi ignoti e proprio per questo nell’esergo ho inserito una strofa de “Il Milite ignoto” di Claudio Lolli.

Si sale verso il piazzale e ci si guarda in giro straniti, pensando a quello che è successo. Questo Carso, che io ho visto meraviglioso d’autunno per il rosseggiare del Sommacco che fa da quinta al mare di Trieste sullo sfondo, è letteralmente un suolo pietroso e scarno, intriso di sangue. Ho raccolto una pietra tozza e tagliente e l’ho infilata nello zaino.

I sentieri consentono di visitare le quattro cime del Monte San Michele. Per chi è abituato ad andare in montagna si tratta veramente di due passi, ma gli avvallamenti pietrosi (le doline), le caverne prima attivate dagli Austroungarici e in un secondo momento dalle Armate italiane come posti di comando, ricovero delle truppe e postazioni di artiglieria sono innumerevoli e da torcicollo.
Il piccolo museo è ricco e ben organizzato e uscendo la vista è a ovest al di là del fiume.

Scendendo si passa per San Martino e sovviene la famosa poesia di Ungaretti.
Sovviene il “valloncello dell’albero isolato”: ho letto che si trattava di un Gelso e quest’immagine mi risuona in testa proprio in questi giorni, raccogliendo – sorpreso – more di Gelso dagli alberi di una periferia industriale. Poco più sotto il Bosco Cappuccio, la zona in cui avvenne il primo attacco chimico sul Fronte italiano. Quel 29 giugno del 1916, la prima luce dell’alba che rende incerti i profili, quel gas che si incunea nelle trincee e negli avvallamenti. Uccide quasi cinquemila soldati delle Brigate Pisa e Regina, impotenti di fronte a questo nemico infido e qui ancora sconosciuto. Seguendo il cantilenante ritmo delle curve, “ma nel cuore nessuna croce manca / è il mio cuore il Paese più straziato”.

Claudio Zucchellini

Claudio Zucchellini

Avvocato, Consigliere della Camera Civile di Monza, attivo in iniziative formative per Avvocati, Università, Scuole e Società Civile.

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *