La figura del generale americano, Douglas MacArthur, in tutti noi evoca uno dei grandi vincitori della Seconda Guerra mondiale. Il generale che sconfisse i giapponesi in quell’estate del 1945 e ottenne la resa dall’imperatore Hirohito. Divenne poi governatore degli Stati Uniti in Giappone e fu lui a organizzare il processo di Tokyo ai responsabili militari e politici giapponesi rei di aver commesso dei reati contro l’umanità.
Questa figura eroica della storia americana ha avuto poi un finale di carriera complesso e controverso. Ritornato in patria come un vero e proprio mito, in realtà rischiò un pesante provvedimento disciplinare per insubordinazione. In questo articolo vi racconterò l’ultima fase della straordinaria carriera di questo militare che, a un certo punto, nell’immediato dopo guerra, pensò addirittura di potersi candidare alla presidenza degli Stati Uniti d’America.
Vi farò conoscere soprattutto un episodio, accaduto durante la guerra di Corea (1950-1953) quando MacArthur, nominato comandante supremo del contingente militare che agiva per la prima volta nella storia sotto la bandiera delle Nazioni Unite, fu inviato nella penisola coreana per difendere il Sud dall’invasione “dei rossi comunisti” del Nord.
Il ruolo di MacArthur nel dopoguerra giapponese
Nel settembre del 1945, subito dopo la resa giapponese, tutti gli americani pensavano che MacArthur avrebbe subito convocato l’imperatore Hirohito per farlo decadere. Vennero anche esercitate pesanti pressioni sul comandante supremo delle truppe americane in Giappone, perché procedesse in tal senso. Ma il “generalissimo” era di un’opinione diversa: conosceva ormai bene i giapponesi e sapeva quanto fosse importante per loro la figura dell’imperatore: un Dio in terra per la tradizione religiosa locale. Un’eventuale estromissione dell’imperatore avrebbe sicuramente gettato il paese nel caos, un caos che non avrebbe fatto altro che favorire l’insurrezione comunista che covava già nell’aria di Tokyo in quei mesi.
La guerra civile in Cina era in pieno svolgimento e l’onda lunga del successo di Mao e dei suoi seguaci avrebbe potuto travolgere un Giappone distrutto sia materialmente sia eticamente dalla sconfitta militare. MacArthur non fece nulla di quanto gli suggerivano i diplomatici e gli uomini politici americani: si comportò in modo molto più lungimirante ed equilibrato.
Non era necessario, secondo lui, umiliare l’imperatore, costringendolo addirittura alle dimissioni. Era molto meglio, pensava MacArthur, investire su una buona relazione con Hirohito, coinvolgendolo nel futuro del nuovo Giappone democratico che sarebbe sorto dopo la tragedia, anche nucleare. Non bisognava farlo diventare, in altre parole, un martire, ma bisognava rispettarne pubblicamente il ruolo, coinvolgendolo in una leadership condivisa con gli Stati Uniti.
Nel loro primo incontro, l’imperatore disse che aveva deplorato la guerra e che aveva cercato in ogni modo di porvi fine. Il generale americano gli chiese perché allora non l’avesse fermata e la risposta di Hirohito fu sostanzialmente questa “Il mio popolo mi ama molto e poiché mi ama molto mi avrebbe semplicemente rinchiuso in manicomio sino alla fine della guerra se avessi sollevato proteste: ho lavorato per la pace ma non è servito. Se poi l’avessi fatto, il mio popolo non mi avrebbe più amato, ma mi avrebbe tagliato la testa”.
MacArthur in quel momento era il plenipotenziario americano in Giappone: da lui dipendeva la politica, la formazione del governo giapponese, la gestione di un paese commissariato da Washington in cui bisognava esportare la democrazia. Il suo compito era quello di riavviare il Giappone verso una democrazia di stampo occidentale con il preciso obiettivo di evitare qualsiasi contaminazione da parte della Cina comunista.
Fu proprio questo il primo banco di prova per il governatore americano, infatti il primo partito organizzato che riemerse dopo la fine della guerra fu proprio quello comunista: come mai? I comunisti dissero che soltanto loro si erano opposti ai militari, responsabili del disonore della nazione. La lunga marcia di Mao in Cina aveva suggestionato molti cuori e molte menti dei giapponesi. Le ristrettezze economiche e la crescente disoccupazione avevano dato vita a parecchio malcontento. Nelle piazze c’erano dei disordini, i soldati americani e la polizia giapponese facevano fatica a mantenere l’ordine pubblico. Il 6 giugno 1950, il governatore americano mise il partito comunista al bando, escludendolo dalla vita politica del paese e accusandolo di voler pianificare un colpo di stato. Ordinò altresì la chiusura di un giornale di orientamento comunista e in poche settimane una serie di ordini d’arresto per molti militanti apicali del partito.
Insomma, era iniziato un confronto duro e senza tregua contro ogni forma di insorgenza comunista in Giappone. Dal giorno dello scoppio della guerra di Corea, nel giugno del 1950, tutte le cellule comuniste del paese subirono incursioni, arresti, boicottaggi. 229 testate giornalistiche vennero soppresse. MacArthur capì però che bisognava anche intervenire sulla ripresa economica del paese: soltanto così si poteva individuare una strada per riassorbire le proteste popolari. Fece pervenire al governo giapponese un piano per la stabilizzazione economica basato su nove punti di cui i principali erano l’aumento della produzione e della produttività, la lotta all’evasione fiscale e il rafforzamento dei controlli sul commercio estero: tutte misure che il governo avrebbe dovuto fare proprie. Fu varato dunque il piano denominato Dodge, dal nome del banchiere americano Joseph Morel Dodge, che arrivò in Giappone proprio a febbraio del 1949 su incarico di Truman.
I suoi più importanti provvedimenti, assunti tramite il governo locale, furono la fissazione del tasso di cambio a 360 yen per ogni dollaro, il taglio del tasso di inflazione attraverso una rigida riduzione della domanda interna con un importante riduzione dei salari e un aumento dei disoccupati. Il suo lavoro per spezzare la vecchia economia feudale giapponese fu definito da alcuni critici, di stampo socialista. Si accusava MacArthur di aver avviato con Dodge un grande esperimento avendo lo scopo di trasformare il Giappone proprio in un paese con una economia socialista: le epurazioni dei militari, l’emancipazione dei lavoratori, lo scioglimento dei gruppi economici a carattere oligopolistico erano gli esempi più eclatanti di questa politica adottata dal governatore. Si occupò anche di organizzare il processo ai responsabili dei reati contro l’umanità, commessi dai militari durante la guerra.
Sulla falsariga di Norimberga, a Tokyo si tenne un processo che durò oltre un anno e che portò alla condanna dei criminali di guerra soprattutto militari che erano stati al comando del paese durante il secondo conflitto mondiale. Le commissioni militari alleate in varie città dell’Oriente sul finire di quel 1945 processarono 5700 giapponesi, taiwanesi e coreani proprio per crimini di guerra. Circa 4300 furono condannati, quasi 1000 a morte, mentre centinaia all’ergastolo. MacArthur concesse l’immunità all’imperatore che non salì sul banco degli imputati, salvando così il suo prestigio.
Inoltre, decise di patteggiare con i responsabili dell’Unità 731, la famigerata élite medica militare giapponese: tale salvezza fu permessa da MacArthur nei confronti di quei medici criminali contro la consegna dei dati sulla guerra batteriologica basati sulla sperimentazione umana che quei dottori avevano deciso di fare utilizzando le cavie tra i prigionieri alleati. L’Unità 731 era un centro di ricerca e sviluppo segreto di armi chimiche-biologiche dell’esercito imperiale giapponese ed operò ininterrottamente dal 1936 al 1945.
La defenestrazione di MacArthur
Fin qui la storia che si conosce del generale americano: prima la sua straordinaria impresa al comando delle truppe americane nella riconquista del Pacifico, poi la sua attività politica e amministrativa da governatore del nuovo Giappone nato sulle macerie di Hiroshima e Nagasaki. Ma come si arrivò alla sua improvvisa defenestrazione proprio durante la guerra di Corea nel 1950? Questa è una pagina che vale la pena approfondire e conoscere. Il caso MacArthur, infatti, sarebbe diventato un esempio per sempre, non solo nella storia americana ma per tutta l’umanità, di come l’autorità civile del presidente di turno poteva licenziare in quattro e quattr’otto la massima autorità militare del paese.
Ma vediamo cosa successe in quell’America di inizio degli anni ‘50. L’antefatto si compì durante la prima fase della guerra in Corea. A poche settimane dall’attacco cinese, MacArthur fu costretto a cessare la sua offensiva che lo aveva portato a respingere i coreani del Nord fino ai confini del loro stato, ritirandosi verso Seul che cadde di nuovo nel gennaio 1951 nelle mani delle truppe della Corea del Nord, supportate ormai da importanti contingenti cinesi. Sia Truman sia MacArthur dovettero, in quei giorni, loro malgrado, prendere in considerazione la prospettiva di un abbandono totale della penisola coreana. Per i vertici militari americani l’alternativa poteva essere soltanto una controffensiva basata sull’utilizzo di armi atomiche: un’opzione questa che avrebbe potuto innescare la Terza Guerra mondiale.
MacArthur propose addirittura al presidente degli Stati Uniti un piano dettagliato che prevedeva di “lanciare da 30 a 50 bombe atomiche” sulla Manciuria, sbarcando poi 500.000 uomini di Chiang Kai-Shek, inquadrati in due divisioni di marines alle due estremità della frontiera cino-coreana e di installare, infine, uno sbarramento di cobalto radioattivo lungo il fiume Yalu, dopo la sconfitta dei cinesi, come misura preventiva contro il rischio di future ulteriori aggressioni. La sua proposta non passò ma lasciò esterrefatti i vertici della Casa Bianca nonché i governi europei. In una visita in America nel dicembre del 1950, il Primo Ministro inglese Attlee aveva manifestato a Truman tutti i timori del suo governo e degli altri governi europei per la spregiudicatezza delle idee e degli intendimenti di MacArthur. Attlee parlò proprio di un tragico “show” che il comandante americano stava conducendo con grande cinismo sui media americani. MacArthur rappresentava, in altre parole, una specie di dottore Stranamore!
Nel marzo del 1951, l’ottava armata americana non solo arginò l’offensiva nemica ma riuscì a recuperare dei territori riconquistando anche la capitale Seul. Truman intuì l’opportunità di offrire una pace negoziata ai coreani proprio tramite Pechino. L’ipotesi di una tregua formulata dal presidente degli Stati Uniti finì in un cassetto e il 5 aprile, al congresso degli Stati Uniti, fu letta ad alta voce una lettera di Douglas MacArthur che criticava apertamente la politica di Truman e la sua strategia adottata in Corea: “Sembra stranamente difficile – scriveva il comandante del contingente ONU in Corea – per alcuni rendersi conto che qui in Asia e dove i cospiratori comunisti hanno scelto di fare il loro gioco per la conquista globale; che qui si combatte con le armi la guerra dell’Europa, mentre là i diplomatici la combattono ancora con le parole; che se perdiamo la guerra contro il comunismo in Asia, la caduta dell’Europa è inevitabile”. Sempre nel marzo del 1951, intercettazioni segrete di messaggi diplomatici avevano rivelato l’esistenza di comunicazioni con cui il generale MacArthur aveva espresso alle ambasciate di Spagna e Portogallo a Tokyo, la fiducia nel fatto che sarebbe riuscito ad espandere la guerra di Corea in un conflitto su vasta scala con i comunisti cinesi.
Quando le intercettazioni arrivarono sul tavolo della Sala Ovale del presidente Truman, questi si infuriò perché constatò che il generale non solo stava cercando di ottenere consensi pubblici per una escalation militare, ma aveva segretamente informato governi stranieri della sua intenzione di avviare azioni contrarie alle scelte presidenziali. Truman decise di non agire subito nei confronti del suo comandante poiché non poteva permettersi di rivelare l’esistenza delle intercettazioni, ma soprattutto per la popolarità che MacArthur godeva in America in quei mesi. Pochi giorni dopo però Truman si convinse che doveva sollevare MacArthur dal suo incarico al di là degli eventuali danni sul piano politico. Il generale era diventato una mina vagante non controllabile che poteva scatenare l’inferno.
Truman convocò un gabinetto ristretto dei suoi collaboratori che durante la discussione condivisero la decisione del presidente, ma non gli consigliarono di farlo subito. Si era di fronte ad un classico esempio di insubordinazione, ma le conseguenze di un licenziamento di MacArthur di fronte all’opinione pubblica erano imprevedibili. Anche l’esito di un eventuale processo intentato nei confronti del generale sarebbe stato incerto; la giuria avrebbe potuto benissimo dichiararlo non colpevole e ordinarne la reintegrazione.
In fondo MacArthur, secondo la loro opinione, non aveva disatteso nessun ordine diretto ma aveva espresso semplicemente delle opinioni diverse rispetto a quelle del presidente. L’11 aprile di quel 1951, Truman decise comunque di destituirlo. Aveva superato ogni limite di accettabilità e prudenza. Nelle sue memorie Truman ricorda di averlo licenziato non perché non avesse rispettato l’autorità del presidente: “Non l’ho licenziato perché era uno stupido figlio di puttana, anche se lo era, ma questo non è contro la legge per i generali. Se lo fosse, dalla metà ai tre quarti di loro sarebbe in prigione”.
Il rullo di MacArthur negli anni successivi
MacArthur al suo ritorno in patria fu accolto da milioni di persone che si affrettarono ad acclamare il loro eroe anche se contestualmente il Senato americano istituì una commissione di inchiesta per appurare la fondatezza di quel siluramento. Il 19 aprile il generale fece la sua ultima apparizione ufficiale in un discorso di addio al Congresso presentando e difendendo la sua versione del disaccordo con Truman. Il suo intervento fu interrotto da 50 ovazioni.
Concluse l’orazione dicendo: “Chiudo i miei 52 anni di servizio militare. Quando mi sono arruolato prima della fine del secolo scorso, è stato l’adempimento di tutte le mie speranze e sogni di ragazzo. Il mondo si è capovolto molte volte da quando ho prestato giuramento nella pianura di West Point e le speranze e i sogni sono svaniti da tempo, ma ricordo ancora il ritornello di una delle ballate di caserma più popolari di quei tempi che proclamava orgogliosamente che i vecchi soldati non muoiono mai, semplicemente svaniscono. E come il vecchio soldato della ballata, ora chiudo la mia carriera militare e svanisco. Un vecchio soldato che ha cercato di fare il suo dovere perché Dio gli ha dato la luce per vedere quel dovere. Arrivederci”.
Una gran parte degli americani sperò in una sua candidatura alla presidenza, ma MacArthur non accettò mai le lusinghe della politica. Attaccò ripetutamente l’amministrazione Truman per la pacificazione in Asia e per la cattiva gestione dell’economia. Man mano il suo consenso pubblico andò via via svanendo: molti si lamentavano che il generale sembrasse più interessato a regolare i propri conti con Truman e a lodarsi che non a offrire una visione costruttiva per il paese. Eisenhower divenne allora presidente degli Stati Uniti. Una volta eletto, Ike si consultò proprio con MacArthur, il suo ex comandante, per porre fine alla guerra in Corea.
Lo stesso Kennedy, durante la crisi cubana chiese consiglio a MacArthur, nel 1961, dopo la Baia dei Porci. Il generale fu estremamente critico nei confronti dello Stato Maggiore militare che, secondo lui, aveva consigliato malissimo il giovane presidente Kennedy. Consigliò inoltre, negli anni successivi, anche a Kennedy di evitare un’escalation militare in Vietnam, sottolineando che i problemi interni americani avrebbero dovuto avere una priorità maggiore. Douglas MacArthur il 5 aprile 1964 morì di cirrosi biliare. Il presidente Johnson autorizzò un funerale di Stato e MacArthur fu sepolto con tutto l’onore che una nazione riconoscente può conferire ad un eroe defunto.
Aveva chiesto di essere sepolto a Norfolk, in Virginia, dove era nata sua madre e dove i suoi genitori si erano sposati. Il suo desiderio fu accolto e l’11 aprile il suo funerale si tenne nella chiesa episcopale di Saint Paul a Norfolk. La sua salma fu sepolta nella rotonda del Douglas MacArthur Memorial. Il generale rimane una figura controversa ed enigmatica. Per alcuni è stato un reazionario ma per altri un anticipatore di una nuova visione del mondo. Tra l’altro riuscì ad esportare il modello della democrazia occidentale in un paese come il Giappone, con tutte le difficoltà che si possono immaginare.
Rifiutò sempre la superiorità razziale dei bianchi americani, allora in voga e trattò sempre i leader filippini e giapponesi con rispetto, da pari a pari. In un periodo di incertezza per l’America, dopo il disastro di Pearl Harbor e le prime incognite nella campagna in Europa, la sua figura di lupo solitario, la sua mistica patriottica e il suo ottimismo, furono di ispirazione per tutta la nazione. Per parecchi americani fu una figura mitica e mitizzata. Il suo licenziamento ha lasciato dietro di sé un monito che si è tramandato nel tempo, con diverse e alternanti posizioni: in materia di guerra e di pace, i militari ne sanno di più anche delle massime autorità civili come il presidente degli Stati Uniti. Una filosofia che divenne nota con il neologismo “Macarturismo”. Insomma, come disse un suo collega militare americano “Le cose migliori e le peggiori che senti su di lui, sono entrambe vere”.
Riccardo Rossotto