Premessa – I forti nazionalismi italiano e sloveno

Negli ultimi decenni dell’Ottocento ci sono nella Venezia Giulia (e in Istria) due forti nazionalismi, come ha ben chiarito la Commissione mista storico-culturale italo-slovena, istituita nell’ottobre 1993 e che ha operato fino al luglio 2000, nella Relazione finale approvata nel 2001 e, purtroppo, pubblicata solo dal Governo sloveno.

Da una parte c’è il nazionalismo italiano, che auspica, soprattutto dopo la proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861) e l’annessione nel 1866, dopo la Terza guerra di Indipendenza, del Veneto e di parte del Friuli, il completamento dell’unificazione nazionale, con l’acquisizione dei territori considerati storicamente italiani (in primo luogo Trieste). Dall’altra parte c’è il nazionalismo sloveno, che  mira alla riunificazione  delle varie popolazioni slave, con la creazione di un proprio Stato.

All’inizio del Novecento il nazionalismo italiano si acuisce con la nascita ed il rapido sviluppo dei movimenti irredentisti, duramente repressi dal regime austriaco. In quel periodo il contrasto italo-sloveno è alimentato anche dalla preminenza politica degli italiani sugli sloveni (e sui croati) secondo le leggi elettorali basate sul sistema censitario (cioè sul reddito) che vede nei Consigli comunali delle città una forte prevalenza di consiglieri italiani, come avviene alle elezioni comunali di Trieste del  20 giugno 1909, benché la popolazione slovena sia più che raddoppiata in pochi anni (25.000 nel censimento del 1910 e 57.000 in quello del 1910), grazie alla forte immigrazione da altre regioni dell’Impero asburgico.

Per capire quanto sia forte a Trieste il nazionalismo italiano, ricordiamo che il 3 dicembre 1910 si svolge in città il primo Congresso del Movimento nazionalista, fondato e diretto da Luigi Federzoni e Enrico Corradini, che l’11 marzo 1911 fondano a Roma L’Idea nazionale (prima settimanale e poi quotidiano).

Le tensioni tra gli italiani e gli sloveni si acuiscono con la scoppio della Prima guerra mondiale. Infatti, il 24 maggio 1915 (il giorno dell’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria), la popolazione slovena dei quartieri popolari triestini insorge contro gli italiani, devastando la sede della Ginnastica Triestina (dove c’è anche un morto), della Lega Nazionale, del quotidiano Il Piccolo (distruggendo le rotative ed impedendo ai vigili del fuoco di estinguere l’incendio), ed anche molti esercizi commerciali ed i caffè in cui si riuniscono gli intellettuali italiani simpatizzanti dell’irredentismo. Inoltre, è danneggiata la statua di Giuseppe Verdi.  

La situazione si aggrava dopo la fine della Grande Guerra in quanto il Governo italiano, presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, si oppone alla “dottrina Wilson”, propugnata dal presidente degli Usa, che vuole in particolare l’autodeterminazione dei popoli e propone il referendum della popolazione dell’Istria e della Dalmazia (che vogliono essere annesse dall’Italia in base al Patto di Londra del 26 aprile 1915, in base al quale il nostro Paese è entrato in guerra a fianco delle Potenze dell’Intesa, Francia, Gran Bretagna e Russia, abbandonando la Triplice Alleanza con l’Austria e la Germania), che invece sono rivendicate dal neo costituito Regno dei  Serbi, Croati e Sloveni (che diventa nel 1929 Regno di Jugoslavia), che vuole anche l’annessione di Trieste, che è il porto più importante dell’ex Impero asburgico.

Il contrasto italo-sloveno in merito alla definizione del confine tra i due Stati (che porta la delegazione italiana ad abbandonare per un periodo la Conferenza di pace di Parigi) si aggrava con l’annessione all’Italia solo di Zara e non dell’intera Dalmazia, e con la non annessione della città di Fiume, che è governata da una amministrazione militare  interalleata. 

La mancata annessione all’Italia dei territori rivendicati di Fiume e dell’intera Dalmazia fa nascere il mito della “vittoria mutilata”, che alimenta ulteriormente il nazionalismo italiano. 

In questa situazione di forte conflitto nazionale italo-sloveno (e croato), aggravato dal fatto che gli slavi annessi con la Grande Guerra (oltre 500.000) devono essere “assimilati” o meglio “italianizzati”, si inserisce il Fascio di combattimento giuliano, costituito nell’aprile 1919, appena due settimane dopo la fondazione del movimento da parte di Mussolini a Milano, nella riunione di piazza San Sepolcro, il 23 marzo 1919, che si erge a difensore degli interessi italiani nella Venezia Giulia (ed in Istria) e coagula il risentimento anti slavo, diventando in breve tempo il principale movimento politico cittadino.

Pertanto, si comprende bene perché le prime vittime della violenza del Fascio giuliano, diretto dall’avvocato toscano Francesco Giunta, inviato a Trieste da Mussolini, chiamato anche “fascismo di confine”, sono gli  sloveni. 

In questo clima politico si inquadra la devastazione fascista del Narodni dom (letteralmente in sloveno Casa nazionale, ma si può intendere anche come Casa del popolo o Casa della cultura) di Trieste, la sera del 13 luglio 1920 e della analoga istituzione di Pola il giorno seguente, che peraltro sono considerate dagli storici le prime importanti azioni violente compiute dalle squadre fasciste.

Le seconde vittime dei fascisti sono gli antagonisti politici, in primo luogo i socialisti. Non a caso, la settimana seguente alla devastazione del Narodni dom di Trieste e di Pola, il 21 luglio 1920  i fascisti assaltano e distruggono la Tipografia romana del quotidiano socialista Avanti! 

La devastazione fascista del Narodni dom

L’idea di una grande Casa nazionale (Narodni dom), in sostituzione delle altre due Case nazionali slovene, ubicate nei quartieri di Barcola e di San Giacomo,  nasce nel 1900 quando si costituisce il Comitato promotore, composto da note personalità politiche del movimento nazionale sloveno di Trieste (riunito intorno alla società politica Edinost). Lo statuto è approvato  con un decreto della Regia Luogotenenza il 30 ottobre 1900. 

Il 7 luglio 1901 si svolge l’assemblea costituiva della Società Narodni dom (Casa nazionale) nella Sala di lettura slovena in via San Francesco 2. Così, tra il 1901 ed il 1904 è costruito, su progetto dell’architetto Max Fabiani, il nuovo Narodni dom che è un grande edificio polifunzionale, al n. 2 della  Piazza Caserma (poi  rinominata Piazza Oberdan), nel quale hanno sede un albergo (l’Hotel Balkan con circa 40 camere, che ha anche dato il nome all’edificio), l’istituto di credito di credito sloveno Banca di risparmio e prestiti di Trieste (proprietaria del terreno, acquistato il 29 aprile 1901), un teatro, un caffè e numerose associazioni culturali ed economiche slovene e croate cittadine. In questo modo, il grande edificio del Narodni dom rappresenta il simbolo visivo della crescente potenza economica e sociale delle comunità slovena e croata triestine.

Nel clima di forte tensione politica tra italiani e sloveni, che abbiamo illustrato, i nazionalisti e i fascisti giuliani aspettano il pretesto per scatenare la loro rabbia contro gli slavi.  La scintilla che porta alla devastazione del Narodni dom di Trieste la sera del 13 luglio 1920 e del Narodni dom di Pola il giorno seguente è l’uccisione, la sera del 12 luglio 1920 a Spalato (Dalmazia), che fa parte del Regno dei Serbi, Sloveni e Croati, durante uno scontro con i nazionalisti croati cittadini, del comandante dell’ariete torpediniere Puglia, Tommaso  Gulli, del marinaio Aldo Rossi e del ferimento di altri tre marinai, che stanno sbarcando da un MAS al Molo Veneto della città per portare in salvo due sottufficiali del cacciatorpediniere Aquilone, che erano rimasti bloccati dalla sera precedente (in cui gli slavi festeggiavano il genetliaco del Re Pietro I) nel Caffè Nani (luogo di ritrovo degli italiani), in seguito ad una manifestazione nazionalista croata, nata dopo una conferenza, tenutasi in un teatro cittadino, nella quale l’oratore principale, eroe della Grande Guerra, aveva pronunciato durissime parole contro gli italiani.      

La notizia della uccisione dei due marinai italiani e del ferimento degli altri quattro arriva subito a Trieste e Francesco Giunta, segretario del Fascio di combattimento giuliano, convoca subito una manifestazione anti slava per le ore 18 del giorno seguente, 13 luglio, in piazza dell’Unità.

La Questura triestina prevedendo violenze contro gli slavi, predispone  la protezione delle associazioni politiche, culturali ed economiche slovene e croate della città.

Durante il comizio, Giunta pronuncia un discorso dal tono e dai contenuti  violenti,  incitando addirittura ad uccidere gli slavi. Infatti dice: «L’anima grande del Comandante Gulli, barbaramente ucciso, vuole vendetta […] Bisogna stabilire la legge del taglione. Bisogna ricordare ed odiare […] Gulli va  vendicato […] L’Italia ha portato qui il pane e la libertà. Ora si deve agire; abbiamo nelle nostre case i pugnali ben affilati e lucidi, che deponemmo pacificamente al finir della guerra, e quei pugnali riprenderemo, per la salvezza dell’Italia…».

Verso la fine del comizio scoppiano dei tafferugli, nel corso dei quali alcune persone riportano ferite sia da arma da fuoco che da taglio. Inoltre rimane ucciso il giovane Giovanni Nini, di 17 anni, originario di Novara, che lavora come aiutante cuoco nella trattoria Bonavia.

La notizia della sua morte è annunciata dal palco ai manifestanti, che a gruppi lasciano la piazza e devastano inferociti vari negozi gestiti da slavi, alcune sedi di  associazioni slave, alcuni studi di professionisti slavi ed anche il Consolato jugoslavo di via Mazzini.  Quindi, le squadre fasciste si dividono in tre colonne e percorrendo via Roma, via Dante e via San Spiridione arrivano nella piazza  in cui si trova il Narodni dom, che viene assediato da una folla inferocita, incitata ad agire da Giunta e dagli altri dirigenti fascisti.  Intorno all’edificio ci sono circa 400  fra soldati, carabinieri e poliziotti, al comando del vice commissario Francesco Crispo Moncada.

Ad un certo momento, da un balcone del terzo piano dell’edificio è lanciata sulla folla una bomba a mano. Viene ferito dalle schegge il tenente Luigi Casciana, del 142° fanteria della Brigata Catanzaro, che si trova a Trieste in licenza.Viene portato all’Ospedale Maggiore e successivamente a quello militare, dove muore poco dopo. 

Altre otto persone sono ferite dalle schegge. Si sentono anche vari colpi di arma da fuoco. Molti militari aprono il fuoco verso l’edificio. I fascisti  forzano le porte dell’edificio, vi entrano e devastano gli ambienti; poi danno fuoco, con taniche di benzina, alle masserizie ammucchiate. Il fuoco si diffonde rapidamente. I vigili del fuoco accorrono subito, ma i manifestanti gli impediscono di spegnere l’incendio, che dura tutta la notte, devastando l’edificio. Però, i vigili del fuoco impediscono che l’incendio si estenda agli edifici vicini.

La ricostruzione dei fatti è controversa, ma appaiono subito chiare le responsabilità del vice commissario Crispo Moncada, dato che i militari, invece di proteggere l’edificio e le persone che vi si trovano, fermando gli assalitori, si sono uniti ad essi.

Tutte le persone presenti nell’edificio riescono a salvarsi, ad eccezione di Hugo Roblek, un farmacista che alloggia nell’Hotel Balkan insieme con la moglie. Si getta da una finestra e si sfracella sul marciapiedi. Invece, la moglie, che si getta insieme con lui, riesce a salvarsi anche se è gravemente ferita.

La devastazione dell’edificio aggrava la tensione tra gli italiani e gli slavi. 

Il Narodni dom diventa il simbolo delle violenze e delle persecuzioni fasciste contro gli sloveni  ed i croati.

L’edificio è espropriato ed in seguito è acquistato da una società milanese che lo ristruttura, adibendolo ad albergo, con il nome Regina. Le associazioni culturali slovene, insediatesi in altre sedi, sono sciolte nel 1927 dal regime fascista.

Nel dopoguerra  le comunità slovena e croata chiedono più volte che il nuovo edificio ospiti le loro associazioni culturali e il 13 luglio di ogni anno organizzano una manifestazione davanti al nuovo edificio.

Nella primavera 2004 alcuni locali al piano terra dell’edificio sono messi a disposizione delle associazioni  culturali e scientifiche slovene della città. 

Nell’aprile dello stesso anno la struttura è visitata dal presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, e dal presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, Riccardo Illy. 

Nel dicembre 2004 il rettore dell’Università degli Studi di Trieste Domenico Romeo inaugura una targa bilingue che ricorda la devastazione del Narodni dom.

Il 13 luglio 2010 i presidenti dell’Italia, della Slovenia e della Croazia (Giorgio Napolitano, Danilo Turk e Ivo Josipovic), in occasione di un “incontro di riconciliazione” tra i tre Stati,  rendono omaggio al  luogo in cui sorgeva il Narodni dom e al monumento agli esuli giuliani, fiumani ed istriani in piazza della Libertà.      

Il 13 luglio 2020, il presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella ed il presidente della Slovenia Borut Pahor partecipano alla cerimonia per la restituzione dell’edificio alla comunità slovena, un secolo esatto dopo la devastazione del Narodni dom.  

Giorgio Giannini

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